Undici vittime, centinaia di feriti fra cui decine di poliziotti, duemilacinquecento arresti, stazioni di polizia devastate e sedi dell’esercito date alle fiamme. Non cenna a placarsi la protesta, diventata immediatamente violenta, scoppiata dopo l’arresto dell’ex premier Imran Khan mentre si recava a rispondere alle domande di giudici dell’Alta Corte per un caso di presunta corruzione che lo coinvolge. Nella giornata di ieri i sostenitori del Pakistan Tehreek-e Insaf, di cui Khan è leader, si sono scatenati a Islamabad, Lahore, Quetta e altre città del Paese. La polizia blocca le strade negli stati federali del Punjab e del Kyber Pakhtukhawa dove il partito dell’ex premier detiene tuttora la maggioranza, in quelle aree si dovranno/dovrebbero (ormai il condizionale è d’obbligo) rinnovare a fine anno le amministrazioni, in concomitanza con le prossime elezioni politiche su cui i partiti avevano di recente trovato un accordo. L’attuale tensione fa precipitare ogni cosa e più d’un osservatore teme per la tenuta del sistema democratico che potrebbe subìre l’insulto del golpe delle Forze Armate. Proprio queste sono indicate quali fomentatrici dei ripetuti tentativi di mettere fuorigioco Khan, dopo che lui, non accettando la defenetrazione, ha chiamato per mesi i sostenitori alla mobilitazione di piazza. Una mobilitazione teoricamente pacifica, ma si sa quando le manifestazioni devono esser contenute quasi sempre degenerano in conflitto aperto. Così dalla primavera 2022 agenti antisommossa si sono ripetutamente scontrati coi militanti del Pti che, appartenendo agli strati più poveri della nazione, sono anche i più colpiti da disoccupazione e inflazione. La miscela è diventata esponenzialmente esplosiva perché l’ex campione di cricket è rimasto ferito in un attentato, ha ricevuto visite poliziesche presso la lussuosa villa posta in stato d’assedio e lui, che non demorde, ha rilanciato il tema del complotto contro la sua persona. L’ultimo atto è l’ennesimo fermo due giorni fa considerato illegale. Lo denunciano i suoi avvocati e altri esponenti del partito che da ieri, incriminati quali istigatori delle violenze di piazza, sono finiti in manette anch’essi. Sono Shah Mahmood Quareshi, Asad Umar, Fawad Chaudhry. Il governo Sharif è stato invitato a sbloccare la critica situazione attenuando le draconiane misure degli organismi della sicurezza non pare intenzionato a contenere i toni della repressione ormai non più rivolta alla persona dell’ex premier per motivi di irregolarità e corruzione, ma al suo schieramento politico. I fuochi non sembrano destinati e spegnersi.
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