Bloccata, per ora, l’ordinanza di demolizione di oltre quattromila abitazioni, molte delle quali fatiscenti, a Haldwani, sobborgo di Kathgodam, India settentrionale, Stato dell’Uttarakhand. La Corte Suprema visto il numero delle persone coinvolte, oltre cinquantamila cioè una buona fetta della popolazione della regione che nel 2001 contava 134.000 abitanti e che ora dovrebbe aver almeno raddoppiato il numero, considera controproducente l’emergenza che ne deriverebbe. Non solo per ragioni umanitarie, ma per gli stessi risvolti d’ordine pubblico, poiché gli interessati dal 20 dicembre sono in agitazione. Comunque l’elemento sociale deve fare i conti con aspetti politico-amministrativi e religiosi della vicenda. Se da una parte quei cittadini agitano documenti che li rendono locatari di case esistenti dal 1940 o affidatari di terreni su cui hanno costruito precarie bicocche con tanto di benestare delle autorità dei decenni passati, gli attuali gestori della municipalità affermano che quello spazio dovrà implementare il servizio ferroviario. Alcuni binari esistono da tempo, sfiorano le case, nessuno sa dire se costruire prima o dopo l’impianto di trasporto. La società ferroviaria proclama d’essere proprietaria dei terreni, attivisti dei diritti controbattono che quella documentazione non esiste o è falsa. I giudici non si sono pronunciati nel merito, almeno per ora. Al di là della razionalizzazione abitativa e delle comunicazioni la controversia assume contorni confessional-politici perché i governanti che puntano a sfratti e demolizioni appartengono al Bahratiya Janata Party (Bjp) e gli abitanti dell’area sono in maggioranza musulmani e dalit. Per rafforzare la propria posizione i primi, attraverso media locali e nazionali, definiscono il territorio “jihad land”.
Non è la prima zona indiana a essere bollata in tal modo. Le teorie pesantemente razziste dell’hindutva cercano ogni appiglio per attuare apartheid e pulizia etno-religiosa nei confronti delle minoranze. I cittadini di Haldwani ricevono il sostegno di avvocati e attivisti dei diritti, al di là dell’età alcuni di loro affermano che non si muoveranno a costo di venir seppelliti sotto le macerie della casa abbattuta. Il compromesso prevedibile, dal momento che il Bjp si prepara alle elezioni dell’anno venturo con un programma di rinnovamento strutturale per l’altra competizione (economica) regionale e globale col competitore cinese, è che la ferrovia amplierà le installazioni e gli abitanti verranno spostati altrove, magari in abitazioni migliori. Del resto anche in altri Stati è in corso la politica definita “del bulldozer”. Per bocca del premier dell’Uttar Pradesh, il monaco Yogi Adityanath, in odore di premierato nazionale poiché Modi dopo due mandati non potrà ripresentarsi, “i bulldozer possono essere segno di crescita e benessere”. Così ha detto Times of India riguardo agli abbattimenti avvenuti in alcune aree del suo Stato, anch’esso a copiosa presenza islamica. Vicino all’aeroporto di Jewar dovrebbe sorgere un nuovo polo cinematografico, proposta che ha immediatamente creato tensioni con la Bollywood di Mumbai. Serafico il monaco arancione ha tranquillizzato: “Mumbai è Mumbai. E’ la terra dell’economia, noi siamo terra della fede. Ci può essere confluenza fra le due. Non trasferiremo altrove la città del cinema, stiamo solo costruendo la nostra”. Affari accanto a politica e preghiere, come Adityanath ha mostrato nelle settimane che precedono il summit del prossimo febbraio di investitori globali che porterà nell’Uttar Pradesh migliaia d’imprenditori. La nuova India prepara un confronto che stride non solo coi diritti dei meno abbienti e garantiti, ma pure col suo contraddittorio presente.
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