Gli chiedono di dimettersi da Ceo dell’Abu Dhabi National Oil Corporation, l’azienda statale degli Emirati Arabi Uniti fondata un cinquantennio fa dall’emiro Zayed bin Sultan, e dodicesima compagnia petrolifera mondiale. Lui il quarantanovenne Sultan Al Jaber, che la guida dal 2016, è diventato il presidente di Cop28, la conferenza sul clima del 2023, programmata a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre. Così per ragioni d’opportunità, per celare minimamente il conflitto d’interessi alcune associazioni come Climate Action, Greenpeace anziché contestare l’investitura invitano il re dei petrolieri a salvare la faccia. Tracy Carty a nome di Greenpeace International ha sollevato lamenti: “La nomina mette a rischio la credibilità degli Emirati Arabi Uniti (ma no, ndr)… La Cop28 deve concludersi con un impegno senza compromessi per una giusta eliminazione di tutti i combustibili fossili. Non c’è posto per l’industria dei combustibili fossili nei negoziati mondiali sul clima”. Belle parole. I fatti hanno detto il contrario nel corso della kermesse chiusasi di recente a Sharm-El Sheik, una passerella delle false promesse da parte delle facce di bronzo della politica economica ed energetica mondiale. Felice è risultato il presidente della Cop27, l’egiziano Shoukry che ha tratto beneficio d’immagine per il suo Paese, accontentando il gran capo Al Sisi. Accanto alla funzione promozionale per la nazione organizzatrice, queste conferenze, che dovrebbero cercare soluzioni concrete all’angoscioso cambiamento climatico in atto nel pianeta, riscontrano la presenza dei lobbisti del petrolio, delle aziende che essi dirigono e rappresentano, degli interessi economici di potentati dell’energia intenti a tessere e disfare la tela della soluzione dei problemi.
Al Jaber è l’esempio lampante cui s’unisce la nuova frontiera dell’ecologismo di ritorno abbracciata dai signori dell’oro nero: le fonti rinnovabili. Così, mentre costoro prospettano future ‘emissioni zero’ di idrocarburi combusti, da spostare comunque sempre più in là nel tempo per continuare l’affarismo petrolifero, partecipano alla spartizione del nuovo terreno energetico investendo su eolico, solare, elettrico. Un esempio, che rientra nel piano della diversificazione economica Vision 2030 dell'inquietante principe bin Salman, viene dalla petromonarchia saudita. Da oltre un quinquennio, con l’allora ministro dell’Energia Khaled al Falih, Riyadh ha avvìato investimenti ecologici rivolti a sole e vento. E nella gestione trovano posto manager come Turki al Shehri, un altro Chef Executive Officer per Engie e precedentemente per Aramco. Aziende ed esperienze petrolifere che dai petrodollari cercano ventodollari e soledollari. Il discorso d’investitura per Cop28 di mister Al Jaber appare integerrimo e umanitario “… Dobbiamo concentrarci sull’azione per il clima rivolta alle esigenze del Sud del mondo, quello più colpito dai cambiamenti climatici. La Cop28 intraprenderà il primo Global Stocktake (GST) dall’Accordo di Parigi. Il GST fornirà le basi per dare slancio a questa e alle future Cop e gli Emirati Arabi Uniti cercheranno un risultato ambizioso in risposta al GST dal processo negoziale. Questo sarà un momento critico per rispondere a ciò che la scienza ci dice che dovrà essere raggiunto: limitare il riscaldamento globale a 1,5° C entro il 2050”. Comunque nel suo intervento non aveva negato: “… che l’azione per il clima oggi sia un’immensa opportunità economica per investire nella crescita sostenibile”. E sulla magìa della “sostenibilità” energetica economisti, finanzieri, imprenditori, comunicatori, leader politici e geopolitici giocano le proprie carte con più opacità che trasparenza.
Poco riferiscono sull’inquinamento dei salvifici pannelli solari e altri strumenti che catturano i raggi solari: rame, piombo, gallio, selenio, indio, cadmio, tellurio e via andare. Se collocati su terreni fertili che, in virtù degli incentivi dei governi proprietari senza scrupoli preferiscono adibire anziché coltivare, la già compromessa terra trova altre sciagure visto che raccoglie le suddette scorie. E taciamo sull’inquinamento paesaggistico… Nei mari soffocati da microplastiche che già devastano la catena alimentare ittica, sono presenti - e sempre più lo saranno - i parchi eolici off-shore, dove svettano pale da 200 metri e più d’altezza. Col logorio le fibre di vetro e le resine epossidiche, derivate dal petrolio, di queste pale semineranno micro-micro plastiche contenenti bisfenolo A, un interferente endocrino pericoloso per la salute soprattutto per la prima infanzia. Tale pericolo in realtà ci accompagna dalla fine degli Sessanta quando questo elemento chimico presente nei recipienti per uso alimentare ha raggiunto diffusioni parossistiche. Un’ultima parola e riflessione: litio, l’essenza dell’hi-tech e della mobilità ecologica attraverso le auto elettriche. Quel che si sa sulla limitata disponibilità del minerale presente solo in alcune aree geografiche; sulla problematicità dell’estrazione per gli imponenti sprechi (1,8 milioni di litri d’acqua per tonnellata di litio) e la conseguente desertificazione del territorio (il cileno Salar di Atacama); sull’impatto ambientale di ritorno con emissioni di anidride carbonica che oscillano dalle cinque alle quindici tonnellate per una di litio raccolta; sulla contraddittorietà del riciclo delle batterie, che costa cinque volte in più dell’estrazione e risulta sconveniente ai produttori, ci offre un orizzonte poco ottimistico e scarsamente ecologico. Eppure l’energia sostenibile vola e le Cop che si susseguono un anno via l’altro come festività da celebrare a ogni costo, propongono presidenti ammaliatori e illusionisti, risolutori non si sa, sicuramente affaristi.
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