Il Punjab, uno fra gli Stati indiani che ha dato impulso e
manifestanti alla gigantesca protesta contadina contro la legge voluta dal
partito di governo, non offre nessun contributo allo sblocco d’una situazione
congelata. Del resto sono direttamente il premier Modi e il suo ministro
dell’Agricoltura Narendra Singh Tomar a difendere a
spada tratta le normative che gli agricoltori contestano. Le contestano perché
ne mette a repentaglio un’attività autonoma a vantaggio delle multinazionali
del settore. Ma ultimamente alcune crepe si sono create nel raggruppamento
arancione punjabi. Taluni attivisti, che nei mesi scorsi avevano solidarizzato
col ceto rurale, hanno chiesto al centro del partito di fare retromarcia. Lo
spettro è la perdita di consensi nelle elezioni del prossimo anno. Non contenti
degli avvertimenti, questi esponenti sono tornati per via fra gli agricoltori,
che rinnovano il tam tam contestatore nonostante i tentativi di nuovo
isolamento che la drammatica situazione sanitaria indiana imporrebbe. Il
condizionale è d’obbligo, visto che su molte tematiche l’Esecutivo non riesce a
contenere esuberanze e desideri di ampi strati della popolazione, esasperati
per vari motivi. “E’ meglio che il
governo riveda le leggi” dicono alcuni militanti locali del Bjp. E
aggiungono che lo spettro delle violente rivolte regionali d’un quarantennio e
un trentennio addietro s’aggira in un ambiente sempre pronto a infiammarsi.
Composto da una popolazione non così numerosa - trenta milioni d’abitanti - ma
tutti impegnati nell’agricoltura per la straordinaria fertilità di quelle terre
poste fra cinque fiumi, questo è il significato del nome dello Stato. Frumento
e altri cereali con cotone e alberi da frutta costituiscono un patrimonio non
indifferente per l’India contadina. Scontentarne la gente, tutta hindu ed
elettrice del Bharatiya Janata Pary, non è un atteggiamento ragionevole, sostengono i riottosi del Bjp.
Veterani di questo
raggruppamento nel Punjab che, in qualche
caso, hanno rivestito incarichi pubblici nazionali, si mostrano fortemente
critici sulla rigidità ideologico-legislativa degli attuali vertici e temono
una disastrosa ricaduta socio-politica per Modi. Definito carismatico e capace
di rendere possibili cose impossibili, ma su questo tema potrebbe pagare uno
scotto altissimo, peraltro già apparso in recenti scadenze alle urne;
scontentare i contadini è un errore per la copiosa categoria, per il Paese e pure
per il partito. Più chiaro di così? Insomma, i vertici nazionali non possono
rilanciare la litanìa che questa legge rappresenta una garanzia sociale, quando
gli interessati affermano il contrario. Non si convince con le buone intenzioni
chi s’è già fatto i conti in tasca e sostiene che non riuscirà a sfamare i
figli. E le famiglie degli agricoltori sono assai numerose… Fra l’altro la cocciutaggine
dei consiglieri di Modi e lui medesimo, sta mettendo in crisi alleanze locali, con
cui il Bjp amministra vari Stati. All’inverso cresce la solidarietà verso gli
agricoltori, altre categorie sono colpite dalla determinatezza fin qui
dimostrata e tramite i propri rappresentanti d’associazione promettono aiuti
d’ogni sorta. Se una parte della stampa indiana sta dando voce alle
dichiarazioni ufficiali del leader Bjp del Punjab, tal Ashwani Sharma,
significa che dai palazzi di Delhi si cerca di recuperare una situazione
interna che può detonare. Dice Sharma: “Alcuni
colleghi offrono punti di vista personali che non hanno alcun peso. Il premier è
impegnato a garantire sussidi alla gente dei campi, mentre c’è chi cerca di
denigrarne l’operato. Chiedo a tutta la popolazione: cosa ha fatto per anni il
Partito del Congresso per i contadini? Perché non ha adottato una moratoria sui
loro debiti anche davanti a gesti estremi come il suicidio attuato da alcuni?”.
Nell’India aggredita dal Covid la lotta rurale ricompare e spacca il partito
del premier.
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