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venerdì 18 giugno 2021

Ahmadinejad ai microfoni Rai, riflessioni a ritroso

Fa un certo effetto ascoltare Maḥamūd Ahmadinejad, due volte presidente iraniano, poi caduto in disgrazia più che per i brogli elettorali del giugno 2009, per dissidi col suo sponsor Khamenei nel corso della seconda contestata amministrazione. Fa effetto vederlo davanti alle telecamere della Rai, che a seconda dei casi accoglie o emargina personaggi. Quando l’uomo era ai vertici della nazione, e avrebbe avuto senso intervistarlo, seppure sostenesse posizioni di aperta conflittualità con l’Occidente, non godeva dell’attenzione del più potente media italiano. Ora l’inviata Rai va a cercarlo e ne registra svariate perplessità. La chiacchierata pur breve è controcorrente e, comunque, interessante. Ahmadinejad era caduto in disgrazia nel corso del suo mandato per il doppio peccato di aver brigato contro un certo clero, sostenendo le velleità dei laici del partito Pasdaran - cui anche le organizzazioni Basij, da cui lui proviene, si schieravano - e aver sostenuto il movimento religioso Hojatiye. Il primo attrito col tempo s’è attenuato, i laici Guardiani della Rivoluzione, occupando attraverso bonyad direttamente controllate un bel pezzo dell’economia (sebbene questa continui a soffrire per l’embargo occidentale) non contrastano più, come stava accadendo nei primi anni del Millennio, figure del clero per il ruolo presidenziale. Fra i due gruppi di potere vige un compromesso, perciò come negli anni Novanta i contrasti sono ricondotti alle posizioni socio-politiche riformiste e conservatrici. I moderati dopo aver perso il padre nobile Rafsanjani, scomparso nel 2017, hanno avuto negli otto anni di presidenza Rohani uno scarso impatto nelle evoluzioni interne, nonostante le aspettative degli accordi sul nucleare. 

 

L’altro peccatuccio di Ahmadinejad, affermare le teorie mistiche Hojatiye, è venuto meno non solo per la scomparsa sei mesi or sono del grande sostenitore di questa corrente, l’ayatollah Yazdi, che fu suo padrino politico, e negli ultimi anni ha lanciato Ebrahim Raisi. A smentire che nello stesso clero conservatore tutto sia inamidato, c’è stata l’accettazione da dell’ayatollah Khamenei d’un nuovo pupillo di Yazdi, sia per la carica presidenziale, sia di futura Guida Suprema. Insomma Raisi diventerà nuovo leader iraniano per decisione presa dagli apparati più che dalle urne, desertificate prima che dal timore dei contagi Covid che comunque corrono, dalla diffusa disillusione verso ogni linea attualmente presente dentro e fuori il Majles. E l’ineffabile Ahmadinejad, che quattro anni addietro provava a ricandidarsi ma venne stoppato da Khamenei e dal Consiglio dei Guardiani? Stavolta non solo è rimasto fermo per qualsivoglia passo politico, ma ha snobbato le urne. Sotto i riflettori Rai annunciava il suo disimpegno elettorale, come fosse uno dei tanti ragazzi intercettati da inviati stranieri e cronisti locali che riportavano il comune sentire della cittadinanza: astensione. Eppure l’ex basij s’è tolto qualche sassolino dalla scarpa, che un tempo da studente lanciava sull’effige del presidente Carter, durante la famosa occupazione dei 444 giorni dell’ambasciata Usa. Nel tragico 2009, beh non si dovevano arrestare tutti quei manifestanti né tantomeno i suoi diretti antagonisti, Mussavi e Karrubi, dice oggi. Magari il presidente-basij era consapevole degli ‘aiuti’ ricevuti col voto, ma la gestione della repressione era roba d’altri e lui fu una semplice pedina. Come quando venne scelto per il ruolo di duro, dopo gli otto anni di libere speranze impresse da Khatami. 


 

 

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