Era un prof di matematica prima di diventare un guerrigliero. Per
il suo Kashmir, per la sua fede politica era diventato leader di Hizbul Mujahideen.
Riyaz Naikoon è stato ucciso dalle truppe indiane che lo consideravano
semplicemente un terrorista. Attivo nella regione che dalla scorsa estate ha
perso l’originaria autonomia di gestione, diventando aperto terreno di scontro
politico e militare fra i locali, armati e non, e l’esercito di Delhi. A trentacinque
anni Naikoon rappresentava uno dei nemici più ricercati e il suo stesso gruppo
politico da due stagioni era finito sul libro nero statunitense del terrorismo
internazionale. Un marchio che concede carta bianca alle truppe speciali dei
Paesi impegnati contro coloro che Washington considera demoni. Riyaz era
sfuggito a diverse operazioni che puntavano a catturarlo vivo o morto. Nel
Kashmir meridionale, dove gli è stato teso l’ultimo agguato, riusciva a trovare
sostegno, reclutando nuovi miliziani, e l’appoggio della popolazione durante
retate diventate sempre più cruente. Di lui si conosceva una totale dedizione
alla causa, si sapeva che fosse un esperto di tecnologia, attentissimo a non
lasciare tracce tramite apparecchiature elettroniche, dai cellulari ai
computer. Chi gli dava la caccia sapeva che era un solitario con un’elevata
attenzione alla sicurezza. Diffidava degli stessi compagni, ne accettava la
condivisione dei nascondigli solo dopo averne sperimentato a lungo i
comportamenti. Il curriculum stilato dagli autonomisti kashmiri dice che
Naikoon aveva incontrato la politica più di dieci anni fa, dopo essersi laureato
e aver iniziato a insegnare.
Arrestato dall’Intelligence indiana nel 2010 era stato
rilasciato due anni dopo ed era entrato in clandestinità, dopo essersi mostrato
al funerale d’un combattente imbracciando un kalashnikov. Quello diventò il
passaggio a nuova vita. Scelte simili non sono rare nella regione a maggioranza
islamica che negli ultimi anni ha rinfocolato i contrasti di frontiera fra
India e Pakistan. Quest’ultimo, come accade per la stessa galassia talebana
attiva in Afghanistan, viene accusato di tollerare, proteggere, sostenere
gruppi fondamentalisti di cui Islamabad sfrutta le azioni guerrigliere nei
Paesi vicini per trarne vantaggi di supremazia regionale. Ovviamente il governo
di Imran Khan rigetta le accuse. Comunque, accanto alle azioni repressive
dirette, il confine indo-pakistano è tornato a infiammarsi. Nei primi quattro
mesi dell’anno s’è verificata un’impennata di conflitti a fuoco fra guardie di
frontiera, cresciuti del 67% rispetto all’anno precedente. A essi s’aggiungono scontri
e agguati con gruppi come l’Hizbul. Oltre a questo altre due formazioni tengono
impegnati i militari indiani, Modi non ha intenzione di allentare la tensione e
invia nuove truppe che impongono alle persone distanziamento e chiusura in casa
per la pandemia. Vietato anche qualsiasi funerale. Per protestare contro quello
mancato a Naikoom nel villaggio di Beighpora la gente ha lanciato pietre, ricevendo
in cambio sventagliate di mitra dei soldati indiani e il coprifuoco totale.
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