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lunedì 19 marzo 2018

Il sogno spezzato di Afrin


Cala pesante la mezzaluna turca sul sogno di Afrin. Sull’enclave kurda sventola da ieri lo stendardo di Ankara, che secondo testimonianze raccolte dalla stampa recatasi presso il centro dell’Intelligence siriana, a Derik, ha sfumature nere, visto l’utilizzo di miliziani dell’Isis attuato dall’esercito turco. Non si sa se anche nel corso dell’operazione “Ramoscello d’ulivo”, terminata ben oltre i tempi inizialmente previsti il 20 gennaio, quando i loro tank varcarono il confine, certamente è accaduto in altre fasi della sporchissima guerra in atto su ogni fronte siriano. Lo confermano due prigionieri turchi, combattenti dell’Isis, con cui ha interloquito l’inviato del Corriere della sera. Mentre commemorano la cerimonia sulla campagna di Gallipoli nella provincia di Çanakkale, durante la Prima Guerra Mondiale, la truonitante voce del potere di Erdoğan, ma anche quella dell’opposizione (o presunta tale) del leader del partito repubblicano, Kılıçdaroğlu, lanciano entrambe un plauso all’esercito in azione ad Afrin, perché la smania di grandezza neo ottomana e vetero kemalista non si contraddicono.
Le unità kurde, non potendo resistere all’offensiva, si sono ritirate verso est, ciò che i turchi volevano, sebbene osservatori ritengono che l’attacco turco e dell’Esercito siriano libero potrebbe non limitarsi a quest’operazione, bensì estenderla anche all’enclave di Kobanê. Sulla rotta della guerriglia kurda circolano varie note di morte che parlano di caduti. I turchi sostengono di aver “neutralizzato 3.600 terroristi”, i kurdi ammettono di aver perso un migliaio di compagni, fonti dell’Osservatorio della Siria parlano di trecento vittime combattenti. Poi c’è la fuga dei civili. Circa 150.000 persone, in gran parte kurde, che avevano iniziato l’evacuazione dalla cittadina da alcune settimane seppure con enormi difficoltà per i corridoi di passaggio e le aree di accoglienza, visto che tutta la regione è devastata da focolai di conflitto. Persa l’enclave occidentale l’esperienza del Rojava, sotto attacco geopolitico oltreché militare, conosce la durissima fase di una difesa impossibile sotto massicce offensive militari e in assenza di coperture e alleanze geopolitiche. Quelle trasversali, statunitense e del regime di Damasco, si sono dimostrate vane di fronte a un nemico, per quest’ultime, alleato tattico o semplice interlocutore, pur a corrente alternata.

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