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mercoledì 24 gennaio 2018

Afghanistan: attentati quotidiani, insicurezza diffusa


Nell’attacco avviato stamane a Jalalabad presso la sede di una delle multinazionali delle Ong “Save the Children” i talebani locali fanno sapere di non entrarci nulla. L’hanno comunicato a Tolo tv, che si occupava dell’ennesimo attentato in terra afghana. Certo, la località e l’area circostante (le aree tribali note come Fata) rappresentano una roccaforte storica dei guerriglieri islamici, e se l’assalto non viene dalle proprie milizie la concorrenza dell’Isis, s’è fatta incalzante. In casa. Rappresenta un conflitto nel conflitto, consolidato ormai da oltre un anno, per contendersi il primato della contrapposizione al governo di Kabul. In questo presente e in un futuro che appaiono pressoché congelati. L’assalto agli uffici dell’Ong conta per ora due vittime, l’emittente afghana inizialmente ha citato 12 feriti fra il personale della struttura, ma il numero, come spesso accade, può salire. Le forze della sicurezza hanno avuto la meglio su tre assalitori che sono stati uccisi. La rivendicazione talebana è invece giunta per l’hotel Intercontinental, assalito da un commando sabato scorso. “Siamo stati noi” ha dichiarato un portavoce talib parlando degli uomini penetrati nella super vigilata struttura alberghiera sorta su un’altura che s’erge sulla piana della capitale. In quell’occasione il commando vestiva divise dell’esercito e ha forzato il blocco di controllo.

I miliziani erano a conoscenza della pianta dell’hotel, testimoni hanno raccontato che si muovevano con agilità e sicurezza, sia seminando panico (e morte) fra gli ospiti (si sono contate 18 vittime e 22  feriti), sia piazzandosi in punti chiave per sostenere il conflitto a fuoco con le squadre speciali afghane sopraggiunte per liberare l’edificio. La battaglia è durata ben 16 ore, mostrando, com’è accaduto in più circostanze, l’alta specializzazione offensiva dei turbanti contro le titubanze direttive e la precaria condizione di quei reparti antiguerriglia, cui si dedica il piano statunitense per la sicurezza afghana sin dai tempi della prima amministrazione Obama. Colpire obiettivi simili, non strategici sotto un’ottica militare, né simbolici come palazzi istituzionali e ambasciate, serve ai Talib per compattare sulla linea del fuoco i propri miliziani, mostrare la precarietà delle Forze Armate di Kabul, fare terra bruciata di una presenza straniera d’ogni tipo in Afghanistan. Un Paese in guerra da 39 anni, in un conflitto cangiante e strisciante durante il quale è da tempo presente un sostegno alle prime vittime di questa condizione che sono i civili. Per i talebani, e per i jihadisti dell’Isis che ne insidiano il primato, tutto ciò è insopportabile. Dunque cercano il terrore diffuso, attaccando in maniera mirata medici e organizzazioni non governative e colpendo anche nel mucchio com’è accaduto all’Intercontinental.

Nonostante si tratti d’una struttura pluristellata  l’hotel non è frequentato da turisti, ci sono corrispondenti dei media e uomini d’affari, più o meno limpidi. E se le infiltrazioni di agenti dei Servizi sono utilizzate anche per organismi internazionali neutrali, è anche vero che in uno scenario devastato come quello afghano simili giochi di prestigio si possono ottimamente fare fuori dal Grand Hotel. Allora lo scopo delle offensive sembra quello di fare ovunque terra bruciata, instaurando l’angoscia dell’attentato come insicurezza assoluta per chi opera sul fronte sanitario e di sostegno alle componenti più deboli: bambini e donne. Colpendo la mega Ong britannica, con filiali operative in una trentina di nazioni, s’intimoriscono le piccole attività di cooperazione, comprese quelle interne. Situazioni che abbiamo visitato e descritto - come gli orfanotrofi e i rifugi per donne di Afceco, le scuole di Opawc a Kabul che si relazionano a organismi italiani come il Cisda e ‘Insieme si può’ di Belluno - in questi ultimi anni riscontrano serie difficoltà per far viaggiare cooperatori e attiviste a sostegno dei progetti che si coniugano a un Afghanistan che rigetta parimenti l’occupazione imperialista occidentale (cui contribuiamo coi nostri militari) e il fondamentalismo. In quella che è sempre più oppressa terra di nessuno, taliban e miliziani Isis uccidono e sorridono.

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