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lunedì 13 marzo 2017

Turchia-Unione Europea, se i nazisti siamo noi

Sull’ennesimo ostracismo rivolto a politici del governo turco (l’ultimo ha riguardato della ministra della famiglia Fatma Betül Sayan Kaya, cui è stato impedito un incontro coi concittadini immigrati da temersi presso il Consolato turco di Rotterdam) torna a tuonare il presidente Erdoğan. Non solo ha ripreso il refrain sul mai morto germe nazista usato nei giorni scorsi contro l’esecutivo di Berlino, che egualmente aveva vietato a esponenti e ministri dell’Akp di tenere incontri politici coi turchi di Germania. Stavolta l’uomo che vuol essere il nuovo padre della Turchia islamica ha minacciato anche ritorsioni economiche. Certo il suo punto di vista è anatolicocentrico e, secondo manie e visioni neo ottomane, pensa di ampliare l’influenza a est come a ovest. Ma con l’Occidente al di là del business, che dai contrasti politici potrebbe ricevere contraccolpi, i rapporti possono incrinarsi proprio su questioni di scarsa diplomazia. Nel profondo ovest, altre nazioni fanno i conti con scadenze elettorali e la vicenda olandese è caduta a tre (oggi due) giorni da una consultazione più che rovente. Dai sondaggi il primo partito olandese dovrebbe diventare proprio quello dell’ultradestra antislamica di Geert Wilders. Forse la mossa iper xenofoba del premier Rutte contro la ministra del governo turco, prova a recuperare qualche percentuale di voto per il suo partito (Popolare) dato in caduta libera fino quasi a dimezzare i seggi ottenuti nel 2012. Ma al di là di sembrare più chiuso e ottuso del leader biondo che si candida a guidare i Paesi Bassi, l’attuale primo ministro olandese lancia un vero e proprio assist al partito di maggioranza turco e al suo sistema per la campagna elettorale pro presidenzialismo.
Un presidenzialismo egualmente soffocante per la democrazia, com’è stato evidenziato da avversari politici e giuristi, per questo accusati essi stessi di complottismo e golpismo gülenista. Purtroppo la polarizzazione, ricercata e voluta da più parti, non fa altro che elevare i contrasti senza badare al contenuto delle questioni. Soggetti politici alla Wilders e Rutte, pur nelle differenti scelte anti Ue e pro Ue, si pongono su unico grande fronte con le Madame Le Pen e Frau Petry, gli Orban, Hofer, Kaczynki, un’Europa non solo euroscettica, ma tutt’altro che democratica, che chiude frontiere e prospettive alla democrazia (anche a quella borghese) nel momento in cui gira le spalle a pluralismo e accettazione della diversità di razze, fedi, culture, costumi. Ormai molte nazioni del vecchio continente applicano scientificamente xenofobia, discriminazione, razzismo, mostrando un’unica tolleranza: quella verso una nostalgica apologia di nazismo e fascismo. Fra le ambiguità delle Istituzioni di Bruxelles, intente fra breve a celebrare i sessant’anni del Trattato di Roma, primo passo di un’idea persa strada facendo, e molto votate ad aderire ad accordi economici sulla scia di decisioni prese dal grande protettore d’Oltreoceano, s’è creato un vuoto cosmico per qualsiasi posizione di presunto progressismo riformista o socialdemocratico che dir si voglia. Una pseudo sinistra smarrita nelle reiterate sconfitte è finita a fare da ventriloquo al più becero capitalismo finanziario, col Pd italiano in prima fila in questo mascheramento, un carosello delle falsità spacciato per innovazione.

Non scopriamo nulla, da tempo il quadro è sconsolante e pericoloso, ma poi ci stupiamo se Erdoğan si pone polemicamente a cavalcare una battaglia di libertà che, incredibile a dirsi, ha proprie ragioni. Vietare a politici - e in alcuni casi a ministri turchi invitati da omologhi di nazioni europee - d’incontrare propri connazionali immigrati in quei Paesi è una misura sciocca ed esplosiva al pari di un attentato kamikaze. Qui sangue e lutti sono immediati, il primo caso fa sedimentare l’odio che, come la Storia insegna, deflagrerà in modo più devastante. Il pretesto della sicurezza nazionale è un lenzuolino striminzito che non preserva nulla, anzi si lacera ampliando ancor più le contraddizioni. Il caso dei Paesi Bassi, dopo quello tedesco, è sintomatico di un cieco non senso. Perché mezzo milione di turchi dotati di doppia cittadinanza, e dunque coinvolti come elettori nelle tornate elettorali del 15 marzo nel Paese d’immigrazione e del 16 aprile in quello d’origine, devono vedere limitato e umiliato il diritto all’informazione e alla libera circolazione di idee, seppur di parte? L’Europa offre al dittatore in pectore, al grande censore turco della libertà di pensiero, parola e critica, l’occasione per rovesciare i ruoli, farsi vittima di un fascismo, che in Occidente come in casa sua, continua ad avere corpo. Lo si può accusare di demagogia, ma la rivendicazione cadrà nel vuoto. In questi giorni, con questi divieti i turchi immigrati e non gli si stringono attorno, fanno proprie le stroncature a un’Europa nostalgica che gli si contrappone e rafforzano le convinzioni che la via autoritaria interna sia l’unica arma per difendersi da un mondo ostile.

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