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venerdì 17 febbraio 2017

Pakistan, sangue su sangue


Hanno colpito mentre i fedeli abbandonavano pensieri e occhi sul Dhamaal la danza sacra, esoterica, mistica sino alla spinta ascetica del sufismo. Alla fine della preghiera nel santuario Lal Shahbaz Qalandar di Sehwan, Pakistan, a circa duecento chilometri da Karachi, i fedeli musulmani erano intenti ad ammirare quel momento magico quando la cintura esplosiva è stata fatta brillare da un kamikaze, provocando, per ora, 70 morti e 150 feriti. La gravità delle condizioni di molti potrebbe far salire il numero delle vittime. Purtroppo un copione quasi quotidiano in varie province, che la dirigenza di Islamabad non riesce (o non vuole) stroncare. A parole sì, il premier Sharif si mostra integerrimo e il nuovo capo dell’esercito con lui, ma lo stillicidio di attentati prosegue e l’Isi (l’Intelligence interna) sembra favorire l’Isis, che stamane ha rivendicato anche quest’attentato. Era già successo con Qaeda, eppure lo Stato nega, sottolineando il suo impegno di uomini e fondi (sono stati spesi oltre 100 milioni di dollari per finanziare la lotta al terrorismo). E mette in atto repressioni vendicative. Stamane una nota dalla capitale ha evidenziato come nelle ore successive all’attentato 39 presunti terroristi sono stati stati eliminati dall’esercito. In passato questo genere di azioni hanno avuto più una funzione di promozione dell’efficienza militare che di reale attacco a chi compie gli attentati.

S’uccidono nemici che in tanti casi non hanno diretta correlazione con le esplosioni in questione. Di fatto il governo non ha mai cessato il sottile doppiogioco d’incontro-scontro col terrorismo jihadista, che sotto varie sigle è stato, secondo i casi, foraggiato e combattuto. I Taliban delle Fata rappresentano tuttora un esempio, anche se la deregulation maggiore si è verificata con la componente dissidente dei Tehreek che si sono macchiati di stragi di bambini, colpendo, ad esempio, il collegio di Peshawar dove ricevono istruzione i figli dei militari pakistani. Sul massacro di ieri, rivendicato ufficialmente dal Daesh, è piovuta la scomunica dei Tehreek, che tramite un twitt del portavoce Imran Khan condannano questa “strage d’innocenti” (sic). La tecnologia aiuta ad ascoltare anche la voce degli abitanti autori di centinaia di “cinguetti” di dolore. Tutti denunciano l’assenza di ambulanze nella zona, cosicché molti feriti sono spirati per dissanguamento mentre venivano trasportati in cerca di soccorsi, anche gli ospedali risultavano distanti. La denuncia dell’assenza adeguata di sicurezza attorno al luogo di culto (solo dopo l’esplosione i soldati sono accorsi in forze dicono i twitt) e la carenza d’assistenza sanitaria sono elementi sottolineati chi ha usato i social media per comunicare. “Né letti, né medicine, né personale paramedico“ scrivono parenti e amici che hanno soccorso la massa di persone investite dall’esplosione. In tanti hanno tuonato contro il Pakistan Muslim League e pure contro il Pakistan Peoples Party.   

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