Hanno colpito mentre i fedeli abbandonavano
pensieri e occhi sul Dhamaal la danza
sacra, esoterica, mistica sino alla spinta ascetica del sufismo. Alla fine della
preghiera nel santuario Lal Shahbaz Qalandar di Sehwan, Pakistan, a circa
duecento chilometri da Karachi, i fedeli musulmani erano intenti ad ammirare
quel momento magico quando la cintura esplosiva è stata fatta brillare da un
kamikaze, provocando, per ora, 70 morti e 150 feriti. La gravità delle
condizioni di molti potrebbe far salire il numero delle vittime. Purtroppo un
copione quasi quotidiano in varie province, che la dirigenza di Islamabad non
riesce (o non vuole) stroncare. A parole sì, il premier Sharif si mostra
integerrimo e il nuovo capo dell’esercito con lui, ma lo stillicidio di
attentati prosegue e l’Isi (l’Intelligence interna) sembra favorire l’Isis, che
stamane ha rivendicato anche quest’attentato. Era già successo con Qaeda,
eppure lo Stato nega, sottolineando il suo impegno di uomini e fondi (sono
stati spesi oltre 100 milioni di dollari per finanziare la lotta al
terrorismo). E mette in atto repressioni vendicative. Stamane una nota dalla
capitale ha evidenziato come nelle ore successive all’attentato 39 presunti
terroristi sono stati stati eliminati dall’esercito. In passato questo genere
di azioni hanno avuto più una funzione di promozione dell’efficienza militare
che di reale attacco a chi compie gli attentati.
S’uccidono nemici che in tanti casi non hanno
diretta correlazione con le esplosioni in questione. Di fatto il governo non ha
mai cessato il sottile doppiogioco d’incontro-scontro col terrorismo jihadista,
che sotto varie sigle è stato, secondo i casi, foraggiato e combattuto. I Taliban
delle Fata rappresentano tuttora un esempio, anche se la deregulation maggiore
si è verificata con la componente dissidente dei Tehreek che si sono macchiati
di stragi di bambini, colpendo, ad esempio, il collegio di Peshawar dove ricevono
istruzione i figli dei militari pakistani. Sul massacro di ieri, rivendicato
ufficialmente dal Daesh, è piovuta la scomunica dei Tehreek, che tramite un
twitt del portavoce Imran Khan condannano questa “strage d’innocenti” (sic). La tecnologia aiuta ad ascoltare anche
la voce degli abitanti autori di centinaia di “cinguetti” di dolore. Tutti
denunciano l’assenza di ambulanze nella zona, cosicché molti feriti sono
spirati per dissanguamento mentre venivano trasportati in cerca di soccorsi,
anche gli ospedali risultavano distanti. La denuncia dell’assenza adeguata di
sicurezza attorno al luogo di culto (solo dopo l’esplosione i soldati sono
accorsi in forze dicono i twitt) e la carenza d’assistenza sanitaria sono
elementi sottolineati chi ha usato i social media per comunicare. “Né letti, né medicine, né personale
paramedico“ scrivono parenti e amici che hanno soccorso la massa di persone
investite dall’esplosione. In tanti hanno tuonato contro il Pakistan Muslim
League e pure contro il Pakistan Peoples Party.
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