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giovedì 12 gennaio 2017

Turchia, il Parlamento inizia ad avallare il Partito-Stato

Primi ritocchi costituzionali votati dal Parlamento di Ankara. S’è iniziato con due riforme: la prima soft che aggiunge 50 deputati ai precedenti 550,  ed è giustificata dall’aumento del numero degli elettori. L’altra risulta già più invasiva, entrando nel merito del lavoro dei magistrati. Così l’articolo 9 della Carta perde l’aggettivo “imparziale” e diventa: “Il potere giudiziario deve essere esercitato da Corti indipendenti (imparziali non c’è più) a nome della nazione turca”. Entrambe le modifiche sono state approvate con un margine superiore ai 330 voti necessari (347 favorevoli, 132 contrari, 2 bianche, 2 astenuti, 1 voto non valido). Erano assenti 66 onorevoli: tutti e 59 quelli del Partito democratico dei popoli, che protesta contro gli arresti considerati indebiti di suoi membri, compresi leader Demirtaş e Yüksekağ, più altri 7 deputati. Gli articoli che riformano la Costituzione sono diciotto, saranno al vaglio del Meclis durante il mese in corso. Qualora i voti favorevoli a un articolo dovessero superare i 367 consensi questo entrerebbe direttamente nella nuova Carta, senza bisogno della verifica referendaria. Ovviamente una bocciatura al di sotto delle 330 preferenze escluderebbe senza appello l’emendamento. Il grande sostegno che il partito di maggioranza, Akp, sta ricevendo per attuare il progetto presidenzialista che sta a cuore a Erdoğan giunge dai nazionalisti del Mhp, ma la somma dei deputati dell’una (316) e dell’altra sponda (39) non consente di toccare quel quorum che potrebbe essere raggiunto solo con un supporto proveniente dalle opposizioni, socialdemocratica e kurda. Entrambe fanno quadrato contro un disegno favorevole a una specie di Partito-Stato che mette nell’angolo il sistema parlamentare.
Alcuni opinionisti vicini al kemalismo socialdemocratico, contrari al regime erdoğaniano, stanno puntando il dito contro il leader nazionalista Bahçeli che ha compiuto un totale voltafaccia rispetto alle posizioni espresse sino al maggio scorso. Per tacere di quello che sosteneva nel 2015, peraltro consultabile su Youtube, dove sono presenti alcuni suoi interventi pubblici. Anche cinque deputati nazionalisti esprimono una ferma dissidenza sui ‘giri di valzer’ del vecchio leader e in sede istituzionale si stanno astenendo dal voto o dalla presenza in aula. Ricordano al capo quando scherniva il presidente sostenendo se per caso “volesse una corona” oppure quando dichiarava nell’emiciclo: “Un nuovo Putin sta crescendo e, passo dopo passo, agguanta la Turchia”. Ma le posizioni politiche corrono rapidissime, gli ultimi mesi vissuti in Anatolia valgono addirittura secoli. Qualcuno s’è preso la briga di aprire gli annali storici e verificare che dal 1364 il sistema turco conservava quella figura di primo ministro che la riforma cancella a vantaggio della super presidenza. Il Sadrazam ottomano, era un ministro superiore a ogni altro, la sua autorità seguiva solo quella del sultano e comandava l’esercito. Con le trasformazioni in corso il premier non esisterà più, il presidente avrà poteri ovviamente sulle Forze Armate, potrà nominare i giudici della Suprema Corte e risultare anche Capo di un partito. “Neppure Atatürk durante la guerra d’Indipendenza sommava tanti poteri nelle sue mani” ha denunciato nel dibattito parlamentare l’ex leader del Chp Baykal. Ma tant’è, le trasformazioni sono in opera e se approvate su quei banchi giungeranno a referendum.
Intanto inizia a girare qualche sondaggio sul rapporto che la cittadinanza turca, stordita dagli eventi e soggiogata dalla paura, ha con l’appuntamento referendario di primavera. Ne riferisce il quotidiano Hürriyet, fonte laica e antigovernativa fra le poche a resistere al repulisti erdoğaniano. Il 36% degli interpellati risponde di non conoscere nulla sul tema, il 28% di saperne pochissimo, il 14% pochino. Insomma circa l’80% di chi ha risposto al quesito sembra tutt’altro che ferrato sui vitali mutamenti dell’assetto costituzionale del Paese. Probabilmente si presta poca attenzione agli allarmi lanciati dall’opposizione contro un progetto che azzera le tutele garantite dalla separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario), questi per il futuro saranno appannaggio delle decisioni presidenziali. Si sottovaluta l’attacco alla natura democratica delle Istituzioni, nel momento in cui s’assisterà a una conservazione fittizia del Parlamento per il quale si voterà ogni cinque anni in contemporanea con rinnovo della carica del super presidente. Costui diventa un factotum su vari terreni e nella gestione di troppi poteri, quello dei decreti che diventano leggi già pende sulla testa dei concittadini. Eppure le emergenze, la sicurezza, gli attacchi di nemici esterni e interni – tutti argomenti reali e vivissimi nella quotidianità – sembrano tante distrazioni di massa che tengono lontana l’attenzione da ciò che sta accadendo nel cuore pulsante della nazione. Un cuore che verrà sostituito dall’uomo-Stato che dimora nelle stanze dell’Ak Sary.


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