Primi ritocchi costituzionali votati dal
Parlamento di Ankara. S’è iniziato con due riforme: la prima soft che aggiunge
50 deputati ai precedenti 550, ed è
giustificata dall’aumento del numero degli elettori. L’altra risulta già più
invasiva, entrando nel merito del lavoro dei magistrati. Così l’articolo 9
della Carta perde l’aggettivo “imparziale”
e diventa: “Il potere giudiziario deve
essere esercitato da Corti indipendenti (imparziali non c’è più) a nome della nazione turca”. Entrambe le
modifiche sono state approvate con un margine superiore ai 330 voti necessari
(347 favorevoli, 132 contrari, 2 bianche, 2 astenuti, 1 voto non valido). Erano
assenti 66 onorevoli: tutti e 59 quelli del Partito democratico dei popoli, che
protesta contro gli arresti considerati indebiti di suoi membri, compresi
leader Demirtaş e Yüksekağ, più altri 7 deputati. Gli articoli che riformano la
Costituzione sono diciotto, saranno al vaglio del Meclis durante il mese in
corso. Qualora i voti favorevoli a un articolo dovessero superare i 367
consensi questo entrerebbe direttamente nella nuova Carta, senza bisogno della
verifica referendaria. Ovviamente una bocciatura al di sotto delle 330
preferenze escluderebbe senza appello l’emendamento. Il grande sostegno che il
partito di maggioranza, Akp, sta ricevendo per attuare il progetto presidenzialista
che sta a cuore a Erdoğan giunge dai nazionalisti del Mhp, ma la somma dei
deputati dell’una (316) e dell’altra sponda (39) non consente di toccare quel
quorum che potrebbe essere raggiunto solo con un supporto proveniente dalle
opposizioni, socialdemocratica e kurda. Entrambe fanno quadrato contro un
disegno favorevole a una specie di Partito-Stato che mette nell’angolo il
sistema parlamentare.
Alcuni opinionisti vicini al kemalismo socialdemocratico,
contrari al regime erdoğaniano, stanno puntando il dito contro il leader
nazionalista Bahçeli che ha compiuto un totale voltafaccia rispetto alle
posizioni espresse sino al maggio scorso. Per tacere di quello che sosteneva
nel 2015, peraltro consultabile su Youtube,
dove sono presenti alcuni suoi interventi pubblici. Anche cinque deputati
nazionalisti esprimono una ferma dissidenza sui ‘giri di valzer’ del vecchio
leader e in sede istituzionale si stanno astenendo dal voto o dalla presenza in
aula. Ricordano al capo quando scherniva il presidente sostenendo se per caso “volesse una corona” oppure quando
dichiarava nell’emiciclo: “Un nuovo Putin
sta crescendo e, passo dopo passo, agguanta la Turchia”. Ma le posizioni
politiche corrono rapidissime, gli ultimi mesi vissuti in Anatolia valgono
addirittura secoli. Qualcuno s’è preso la briga di aprire gli annali storici e
verificare che dal 1364 il sistema turco conservava quella figura di primo
ministro che la riforma cancella a vantaggio della super presidenza. Il Sadrazam ottomano, era un ministro
superiore a ogni altro, la sua autorità seguiva solo quella del sultano e
comandava l’esercito. Con le trasformazioni in corso il premier non esisterà
più, il presidente avrà poteri ovviamente sulle Forze Armate, potrà nominare i
giudici della Suprema Corte e risultare anche Capo di un partito. “Neppure Atatürk durante la guerra
d’Indipendenza sommava tanti poteri nelle sue mani” ha denunciato nel
dibattito parlamentare l’ex leader del Chp Baykal. Ma tant’è, le trasformazioni
sono in opera e se approvate su quei banchi giungeranno a referendum.
Intanto inizia a girare qualche sondaggio sul
rapporto che la cittadinanza turca, stordita dagli eventi e soggiogata dalla
paura, ha con l’appuntamento referendario di primavera. Ne riferisce il
quotidiano Hürriyet, fonte laica e
antigovernativa fra le poche a resistere al repulisti erdoğaniano. Il 36% degli
interpellati risponde di non conoscere nulla sul tema, il 28% di saperne
pochissimo, il 14% pochino. Insomma circa l’80% di chi ha risposto al quesito
sembra tutt’altro che ferrato sui vitali mutamenti dell’assetto costituzionale
del Paese. Probabilmente si presta poca attenzione agli allarmi lanciati dall’opposizione
contro un progetto che azzera le tutele garantite dalla separazione dei poteri
(esecutivo, legislativo, giudiziario), questi per il futuro saranno appannaggio
delle decisioni presidenziali. Si sottovaluta l’attacco alla natura democratica
delle Istituzioni, nel momento in cui s’assisterà a una conservazione fittizia
del Parlamento per il quale si voterà ogni cinque anni in contemporanea con
rinnovo della carica del super presidente. Costui diventa un factotum su vari terreni
e nella gestione di troppi poteri, quello dei decreti che diventano leggi già
pende sulla testa dei concittadini. Eppure le emergenze, la sicurezza, gli
attacchi di nemici esterni e interni – tutti argomenti reali e vivissimi nella
quotidianità – sembrano tante distrazioni di massa che tengono lontana
l’attenzione da ciò che sta accadendo nel cuore pulsante della nazione. Un cuore
che verrà sostituito dall’uomo-Stato che dimora nelle stanze dell’Ak Sary.
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