Combattere
il terrorismo con la democrazia - In Italia per incontri ufficiali - ieri ospite
alla Farnesina, poi relatore in una conferenza al Senato, oggi con un intervento in
un hotel romano - Rachid Ghannoūshī conserva una vitalità che supera età e
traversie di vita. La Tunisia che ha amato e servito tanto da patire carcere ed
esilio, è pur fra cento contraddizioni una realtà in cui crede, come nell’Islam
moderato del partito Ennahda. A quasi sei anni dal vento della rivoluzione dei
gelsomini, il suo è l’unico fra i Paesi delle ‘Primavere arabe’ a tenere accesa
una luce di trasformazione riformatrice della società. Lontano da fratricide
guerre civili e sanguinose repressioni. “La
dittatura non è nel destino d’un Paese islamico. E’ una malattia da cui occorre
liberarsi, noi l’abbiamo fatto con la rivolta di popolo e continuiamo a farlo
costruendo uno stato democratico e pluralista col contributo di partiti di
sinistra, liberali, islamici”. Esordisce così l’uomo che in gioventù fu
affascinato dal panarabismo nasseriano, ebbe contatti col socialismo ba’thista,
con la Fratellanza Musulmana, e studiando teologia s’avvicinò anche alle teorie
del pakistano al-Maududi e per questo viene ancor’oggi tacciato di fondamentalismo
totalizzante. Però le sue parole affermano altro. “Con nazioni come l’Italia abbiamo un nemico comune: il terrorismo.
Dobbiamo combatterlo. Abbiamo anche elementi negativi da debellare quali la
migrazione clandestina, causata dalla crisi economica, non possiamo permettere
che questa faccia da serbatoio per il reclutamento fondamentalista”.
Equità
sociale contro l’illegalità - Le statistiche delle Intelligence indicano come
una grossa fetta di jihadisti stranieri provenga proprio da nazioni impegnate
nella svolta democratica come Tunisia e Marocco. “Purtroppo - prosegue Ghannoūshī - la mancanza di equità sociale e la carenza di sviluppo sociale
costituiscono un serbatoio da cui si reclutano
persone per ogni attività, anche illegale. Libertà, cultura, iniziative
sociali ed economiche possono essere l’antibiotico contro il terrorismo. Come
pure il pluralismo politico che spinge i cittadini alla partecipazione mentre
il fondamentalismo semina paura, praticando la cooptazione tramite la
propaganda o l’imposizione. E’ un progetto rivolto in primo luogo contro
l’Islam democratico con l’obiettivo di emarginarlo. Il nostro modello che non
ha nulla a che vedere col fondamentalismo, si basa sulla dignità e la
convivenza, come insegna la storia dell’Islam. Ennahda negli ultimi anni, anche
per merito della rivoluzione tunisina, ha conosciuto considerevoli cambiamenti,
riscontrabili nella realtà socio-politica del nostro Paese. La democrazia tunisina con la propria
scommessa di riformarsi sta resistendo grazie al contributo di tre soggetti:
società civile, esercito, movimento islamico. Ciascuno di essi ha praticato una
rinuncia, il movimento islamico ha scelto di essere un partito democratico e
sta dedicando la sua opera al rafforzamento della nazione, per attuare una democrazia di tutti, non una
supremazia di parte. Pur se in un
primo periodo le urne ci avevano premiato, non ci siamo arroccati su un potere
di gruppo, ci siamo rimessi in gioco. Per ricostruire lo spirito nazionale non
basta neppure il 51% del consenso, serve una maggioranza amplissima di almeno
due terzi della popolazione”.
Costruire
il consenso col pluralismo - “La
Tunisia deve raccogliere e superare queste sfide tramite tutte le componenti
politiche, deve produrre ricchezza e redistribuirla fra la gente. Deve
rafforzare la sicurezza da attacchi interni ed esterni, scongiurare
frazionamenti come quello che si verifica in Libia, un vicino importante per
noi e per chi vive sull’altra sponda del Mediterraneo come l’Italia sottoposta
più di altri alle attività illecite della tratta dei migranti. Non nascondiamo
che esistono correnti islamiche distruttive, l’Islam non ha un papa e non ha
un’unica fonte interpretativa. Ci sono diverse letture, la nostra è volta a
costruire una società fondata su democrazia e libertà”. A chi fa notare che altre versioni dell’Islam cosiddetto
moderato, in Egitto e Turchia, non hanno cercato inclusioni, Ghannoūshī risponde:
“Certe pratiche fanno perdere terreno
all’Islam moderato, noi siamo diversi. Proprio perché l’Islam non è unico, la
libertà di lettura sui testi sacri può produrre interpretazioni differenti,
fino a forzature settarie, autoritarie o fondamentaliste. Il nostro partito ha
scelto di discutere, confrontarsi, votare e decidere a maggioranza. Le
risoluzioni sono rispettate da tutti. Altrettanto facciamo nelle Istituzioni
statali. Purtroppo tutto ciò non viene ancora colto da certi politologi prigionieri
di stereotipi sull’Islam”. A una domanda sui termini presenti nel suo
discorso, sottolineato dai concetti di progresso e rivoluzione non da quello di
rifondazione, l’anziano leader ribadisce: “L’Islam
ha offerto due modelli di potere: quello di tipo faraonico, dispotico e alla
fine fallimentare, e il modello adottato nell’antichità dalla regina di Saba.
Quest’ultimo interloquisce col popolo e si regge sul consenso. Ennahda e l’Islam
moderato percorrono questa strada”.
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