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venerdì 21 ottobre 2016

Ghannoūshī: “Le dittature sono una malattia da cui l’Islam deve liberarsi”

Combattere il terrorismo con la democrazia - In Italia per incontri ufficiali - ieri ospite alla Farnesina, poi relatore in una conferenza al Senato, oggi con un intervento in un hotel romano - Rachid Ghannoūshī conserva una vitalità che supera età e traversie di vita. La Tunisia che ha amato e servito tanto da patire carcere ed esilio, è pur fra cento contraddizioni una realtà in cui crede, come nell’Islam moderato del partito Ennahda. A quasi sei anni dal vento della rivoluzione dei gelsomini, il suo è l’unico fra i Paesi delle ‘Primavere arabe’ a tenere accesa una luce di trasformazione riformatrice della società. Lontano da fratricide guerre civili e sanguinose repressioni. “La dittatura non è nel destino d’un Paese islamico. E’ una malattia da cui occorre liberarsi, noi l’abbiamo fatto con la rivolta di popolo e continuiamo a farlo costruendo uno stato democratico e pluralista col contributo di partiti di sinistra, liberali, islamici”. Esordisce così l’uomo che in gioventù fu affascinato dal panarabismo nasseriano, ebbe contatti col socialismo ba’thista, con la Fratellanza Musulmana, e studiando teologia s’avvicinò anche alle teorie del pakistano al-Maududi e per questo viene ancor’oggi tacciato di fondamentalismo totalizzante. Però le sue parole affermano altro. “Con nazioni come l’Italia abbiamo un nemico comune: il terrorismo. Dobbiamo combatterlo. Abbiamo anche elementi negativi da debellare quali la migrazione clandestina, causata dalla crisi economica, non possiamo permettere che questa faccia da serbatoio per il reclutamento fondamentalista”.
Equità sociale contro l’illegalità - Le statistiche delle Intelligence indicano come una grossa fetta di jihadisti stranieri provenga proprio da nazioni impegnate nella svolta democratica come Tunisia e Marocco. “Purtroppo - prosegue Ghannoūshī - la mancanza di equità sociale e la carenza di sviluppo sociale costituiscono un serbatoio da cui si reclutano  persone per ogni attività, anche illegale. Libertà, cultura, iniziative sociali ed economiche possono essere l’antibiotico contro il terrorismo. Come pure il pluralismo politico che spinge i cittadini alla partecipazione mentre il fondamentalismo semina paura, praticando la cooptazione tramite la propaganda o l’imposizione. E’ un progetto rivolto in primo luogo contro l’Islam democratico con l’obiettivo di emarginarlo. Il nostro modello che non ha nulla a che vedere col fondamentalismo, si basa sulla dignità e la convivenza, come insegna la storia dell’Islam. Ennahda negli ultimi anni, anche per merito della rivoluzione tunisina, ha conosciuto considerevoli cambiamenti, riscontrabili nella realtà socio-politica del nostro Paese. La democrazia tunisina con la propria scommessa di riformarsi sta resistendo grazie al contributo di tre soggetti: società civile, esercito, movimento islamico. Ciascuno di essi ha praticato una rinuncia, il movimento islamico ha scelto di essere un partito democratico e sta dedicando la sua opera al rafforzamento della nazione, per attuare una democrazia di tutti, non una supremazia di parte. Pur se in un primo periodo le urne ci avevano premiato, non ci siamo arroccati su un potere di gruppo, ci siamo rimessi in gioco. Per ricostruire lo spirito nazionale non basta neppure il 51% del consenso, serve una maggioranza amplissima di almeno due terzi della popolazione.
Costruire il consenso col pluralismo -La Tunisia deve raccogliere e superare queste sfide tramite tutte le componenti politiche, deve produrre ricchezza e redistribuirla fra la gente. Deve rafforzare la sicurezza da attacchi interni ed esterni, scongiurare frazionamenti come quello che si verifica in Libia, un vicino importante per noi e per chi vive sull’altra sponda del Mediterraneo come l’Italia sottoposta più di altri alle attività illecite della tratta dei migranti. Non nascondiamo che esistono correnti islamiche distruttive, l’Islam non ha un papa e non ha un’unica fonte interpretativa. Ci sono diverse letture, la nostra è volta a costruire una società fondata su democrazia e libertà. A chi fa notare che altre versioni dell’Islam cosiddetto moderato, in Egitto e Turchia, non hanno cercato inclusioni, Ghannoūshī risponde: “Certe pratiche fanno perdere terreno all’Islam moderato, noi siamo diversi. Proprio perché l’Islam non è unico, la libertà di lettura sui testi sacri può produrre interpretazioni differenti, fino a forzature settarie, autoritarie o fondamentaliste. Il nostro partito ha scelto di discutere, confrontarsi, votare e decidere a maggioranza. Le risoluzioni sono rispettate da tutti. Altrettanto facciamo nelle Istituzioni statali. Purtroppo tutto ciò non viene ancora colto da certi politologi prigionieri di stereotipi sull’Islam”. A una domanda sui termini presenti nel suo discorso, sottolineato dai concetti di progresso e rivoluzione non da quello di rifondazione, l’anziano leader ribadisce: “L’Islam ha offerto due modelli di potere: quello di tipo faraonico, dispotico e alla fine fallimentare, e il modello adottato nell’antichità dalla regina di Saba. Quest’ultimo interloquisce col popolo e si regge sul consenso. Ennahda e l’Islam moderato percorrono questa strada”.

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