L’alleato
fondamentalista - La navigazione governativa a vista messa in
atto negli ultimi mesi dal presidente afghano Ghani approda a un primo passo
verso un obiettivo, per ora rifiutato dai destinatari. Quest’obiettivo è
stabilire una pacificazione coi riottosi talebani e per convincerli Ghani
imbarca nientemeno che Hekmatyar, uno dei più spietati signori della guerra
locali. Un fondamentalista doc che aveva già fatto da pontiere all’epoca del
dialogo fra la Cia–Karzai e il mullah Omar. L’ha annunciato con enfasi il
rappresentante dell’Alto consiglio afghano di pace, Ahmad Gilani, seppure
nell’occasione i due attori non fossero presenti. La manovra, che avrà
sicuramente ricevuto l’assenso del puparo di Ghani John Kerry, mostra il totale
fallimento di emancipare l’ultimo burattino ufficiale afghano tramite un
proprio esercito, enorme nei numeri (300.000 uomini) e totalmente inefficiente sul campo. Il nemico fondamentalista
che, dopo 15 anni di guerra, non è stato sconfitto resta la spina nel fianco
sia degli Stati Uniti, lì interessati a geostrategie e business, sia degli
affari di altri grandi del mondo: Cina, India, Gran Bretagna. Allora si torna
al passato, ben prima dell’11 settembre, quando a fine anni Ottanta il mondo
bipolare si scontrava in quel territorio, con un’Unione Sovietica impelagata in
un’invasione che la dissanguò, e gli Usa che foraggiavano la resistenza di vari
gruppi mujaheddin. Fra questi l’Hezb-i
Islami creato da Hekmatyar,
Una
vita per la ‘guerra santa’ - Originario di Kunduz,
ingegnere mancato all’università di Kabul, e inizialmente filocomunista prima di tramutare il suo credo
politico a Peshawar, in quei campi profughi dove gli afghani riparavano e dove
agiva e reclutava l’Intelligence pakistana, Hekmatyar è un protagonista di
primo piano d’una storia lunga e
intricatissima, che riassumiamo nelle vicende salienti. Le varie fazioni
resistenti e vincenti contro l’invasione sovietica si ritrovarono, dopo la
ritirata dell’Armata Rossa (1988), a gestire rissosamente le leve di comando.
Fra i maggiori schieramenti, oltre a quello di Hekmatyar, c’erano Jamiat-I Islami di Rabbani e Massud, Ittihad-I Islami di Sayyaf. Anno dopo
anno il comune governo scivolò in contrasti, fino alla contrapposizione armata
durata dal 1992 al 1996, di cui fece le spese soprattutto la popolazione civile.
Quella di Kabul, accusata d’essere stata acquiescente verso i russi, fu
particolarmente colpita da chi voleva insediarsi in città. Il 1993 viene
ricordato come l’anno nero della capitale che contò oltre diecimila morti
civili. A provocarli le milizie di Rabbani e Massud insediate in città e quelle
di Hekmatyar che da una collina circostante martellava coi mortai le truppe
nemiche e le zone abitate dalla popolazione presa come bersaglio fisso. L’epiteto
di ‘macellaio di Kabul’ viene da lì. Ma i suoi avversari non erano certamente
galantuomini. Come non lo erano altri signori della guerra coinvolti: Mohaqiq,
Dostum, Sayyaf, Fahim, Khalili. Nei curricula di ciascuno ci sono le tendenze
più varie dal filosovietismo, al fondamentalismo islamico. Secondo i periodi
sono stati nemici e alleati, risultano finanziati e armati da potenze mondiali
(Usa, Urss, India, Cina) e regionali (Arabia Saudita, Pakistan, Iran),
compaiono in ruoli ufficiali di governi afghani passati e attuali.
Crudele
real politik - Si dirà: è la geopolitica bellezza. Quella che
vede il cinismo variegato su scala macro e micro maciullare gente, ormai da quattro
generazioni, cosicché dall’Afghanistan si continua a fuggire e certi afghani
meditano il jihad antioccidentale portato a destinazione: Europa o America che sia. Ottantamila
furono le vittime civili dei quattro anni di guerra fra le bande afghane, quasi
tutti i protagonisti di quel delirio sono vivi, vegeti e potenti, tantoché i
depositari del ‘modello democratico’ da innestare li vogliono al proprio
fianco. Inascoltate restano le voci di un’associazione locale come il Saajs che
sui massacri della guerra civile afghana ha stilato dossier che raccolgono il
dolore di migliaia di familiari, inizialmente reticenti a denunciare per il
terrore che tuttora questi signori incutono. Nessuna Corte Internazionale ha
raccolto il loro appello, troppo deboli, troppo umili, troppo sole quelle voci
per gli interessi globali. Né le figure istituzionali che la democrazia
occidentale ha insediato per trasformare il Paese in una società normale, mai
hanno voluto chiedere conto dei crimini commessi. Prima Karzai, ora Ghani i
signori della guerra li scelgono come alleati per cercare un presente che per la
gente comune continua a profilarsi nero: i Taliban imperversano e controllano
più della metà delle province, il governo annaspa e cerca un accordo che
costoro rifiutano perché sanno di poter puntare all’intera posta: salire al
potere, come nel 1996. Mentre l’America balbetta e al più prepara un’altra
guerra se Trump, come può accadere, salirà alla Casa Bianca.
Enrico
Campofreda, 23 settembre 2016
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