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venerdì 23 settembre 2016

Ghani abbraccia il macellaio di Kabul

L’alleato fondamentalista - La navigazione governativa a vista messa in atto negli ultimi mesi dal presidente afghano Ghani approda a un primo passo verso un obiettivo, per ora rifiutato dai destinatari. Quest’obiettivo è stabilire una pacificazione coi riottosi talebani e per convincerli Ghani imbarca nientemeno che Hekmatyar, uno dei più spietati signori della guerra locali. Un fondamentalista doc che aveva già fatto da pontiere all’epoca del dialogo fra la Cia–Karzai e il mullah Omar. L’ha annunciato con enfasi il rappresentante dell’Alto consiglio afghano di pace, Ahmad Gilani, seppure nell’occasione i due attori non fossero presenti. La manovra, che avrà sicuramente ricevuto l’assenso del puparo di Ghani John Kerry, mostra il totale fallimento di emancipare l’ultimo burattino ufficiale afghano tramite un proprio esercito, enorme nei numeri (300.000 uomini) e  totalmente inefficiente sul campo. Il nemico fondamentalista che, dopo 15 anni di guerra, non è stato sconfitto resta la spina nel fianco sia degli Stati Uniti, lì interessati a geostrategie e business, sia degli affari di altri grandi del mondo: Cina, India, Gran Bretagna. Allora si torna al passato, ben prima dell’11 settembre, quando a fine anni Ottanta il mondo bipolare si scontrava in quel territorio, con un’Unione Sovietica impelagata in un’invasione che la dissanguò, e gli Usa che foraggiavano la resistenza di vari gruppi mujaheddin. Fra questi l’Hezb-i Islami creato da Hekmatyar,
Una vita per la ‘guerra santa’ - Originario di Kunduz, ingegnere mancato all’università di Kabul, e inizialmente  filocomunista prima di tramutare il suo credo politico a Peshawar, in quei campi profughi dove gli afghani riparavano e dove agiva e reclutava l’Intelligence pakistana, Hekmatyar è un protagonista di primo piano  d’una storia lunga e intricatissima, che riassumiamo nelle vicende salienti. Le varie fazioni resistenti e vincenti contro l’invasione sovietica si ritrovarono, dopo la ritirata dell’Armata Rossa (1988), a gestire rissosamente le leve di comando. Fra i maggiori schieramenti, oltre a quello di Hekmatyar, c’erano Jamiat-I Islami di Rabbani e Massud, Ittihad-I Islami di Sayyaf. Anno dopo anno il comune governo scivolò in contrasti, fino alla contrapposizione armata durata dal 1992 al 1996, di cui fece le spese soprattutto la popolazione civile. Quella di Kabul, accusata d’essere stata acquiescente verso i russi, fu particolarmente colpita da chi voleva insediarsi in città. Il 1993 viene ricordato come l’anno nero della capitale che contò oltre diecimila morti civili. A provocarli le milizie di Rabbani e Massud insediate in città e quelle di Hekmatyar che da una collina circostante martellava coi mortai le truppe nemiche e le zone abitate dalla popolazione presa come bersaglio fisso. L’epiteto di ‘macellaio di Kabul’ viene da lì. Ma i suoi avversari non erano certamente galantuomini. Come non lo erano altri signori della guerra coinvolti: Mohaqiq, Dostum, Sayyaf, Fahim, Khalili. Nei curricula di ciascuno ci sono le tendenze più varie dal filosovietismo, al fondamentalismo islamico. Secondo i periodi sono stati nemici e alleati, risultano finanziati e armati da potenze mondiali (Usa, Urss, India, Cina) e regionali (Arabia Saudita, Pakistan, Iran), compaiono in ruoli ufficiali di governi afghani passati e attuali.
Crudele real politik - Si dirà: è la geopolitica bellezza. Quella che vede il cinismo variegato su scala macro e micro maciullare gente, ormai da quattro generazioni, cosicché dall’Afghanistan si continua a fuggire e certi afghani meditano il jihad antioccidentale portato a  destinazione: Europa o America che sia. Ottantamila furono le vittime civili dei quattro anni di guerra fra le bande afghane, quasi tutti i protagonisti di quel delirio sono vivi, vegeti e potenti, tantoché i depositari del ‘modello democratico’ da innestare li vogliono al proprio fianco. Inascoltate restano le voci di un’associazione locale come il Saajs che sui massacri della guerra civile afghana ha stilato dossier che raccolgono il dolore di migliaia di familiari, inizialmente reticenti a denunciare per il terrore che tuttora questi signori incutono. Nessuna Corte Internazionale ha raccolto il loro appello, troppo deboli, troppo umili, troppo sole quelle voci per gli interessi globali. Né le figure istituzionali che la democrazia occidentale ha insediato per trasformare il Paese in una società normale, mai hanno voluto chiedere conto dei crimini commessi. Prima Karzai, ora Ghani i signori della guerra li scelgono come alleati per cercare un presente che per la gente comune continua a profilarsi nero: i Taliban imperversano e controllano più della metà delle province, il governo annaspa e cerca un accordo che costoro rifiutano perché sanno di poter puntare all’intera posta: salire al potere, come nel 1996. Mentre l’America balbetta e al più prepara un’altra guerra se Trump, come può accadere, salirà alla Casa Bianca.


Enrico Campofreda, 23 settembre 2016

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