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sabato 17 ottobre 2015

Renzi, il diktat sull’Afghanistan

L’ordine amerikano – Renzi, il premier che non accetta “diktat da Bruxelles” lo riceve dalla Casa Bianca, anzi direttamente dal Pentagono per bocca del segretario alla Difesa statunitense Carter. Così appena Obama annuncia di lasciare uomini e armi in Afghanistan per tutto l’anno venturo, Palazzo Chigi rapidamente s’adegua. Settecentocinquanta militari italiani, tuttora in forza alla Resolute Support della Nato, resteranno sul suolo afghano. A fare cosa? Sicuramente a prendere ordini dal comando Usa prolungato d’un anno, tempo utile per investirne l’elezione presidenziale d’Oltreoceano. In una fase in cui si rimpasta la fisionomia geostrategica del Medio Oriente piccolo e grande, un disimpegno militare verrebbe giudicato dall’elettore statunitense medio come una resa a jihadisti e avversari in genere. Vantaggio che i Democratici non vogliono offrire ai Repubblicani. Il governo italiano fa da valletto a queste danze. Alla domanda su quali siano le prospettive del prolungamento della permanenza in Afghanistan nessuno degli strateghi di Washington risponde. Prendono tempo a vista.
Obiettivi falliti - Quel che appare evidente è l’inadeguatezza della costosissima struttura militare locale, sostenuta, assieme al governo della cosiddetta unità nazionale, dal Segretario di Stato Kerry. Due flop in un anno solo. La presunta normalizzazione afghana è una favola buona per la propaganda, i fatti dimostrano ben altro: tutte le province sono insicure, l’addestramento dell’ANF non riesce a creare reparti operativi e affidabili, il reclutamento (incentivato a suon di dollari) e le diserzioni si susseguono a ritmi costanti, vanificando gli impegni economici e spesso offrendo  soldati e armi alla guerriglia talebana. A fare da pedoni in questa viziosa partita a scacchi ci sono pure i nostri militi, prevalentemente parà e carabinieri che operano a Kabul ed Herat. Gli altri centri della missione restano a Mazar-e Sharif, Kandahar, Laghman e dichiarano tutti un impegno “no combat” cioè non guerreggiante. Il termine risulta tale prevalentemente nelle belle risoluzioni dei summit. La realtà è un’altra e l’esempio sanguinoso è recente.
Crimini di guerra - Il bombardamento dell’ospedale di Médecins sans Frontières che ha prodotto morte di civili e distruzioni di strutture (peraltro sanitarie) veniva da una delle basi statunitensi in loco, quasi sempre “cinetiche”, come l’attuale linguaggio diversivo dei ministeri della Difesa definisce le operazioni offensive. A Kunduz la “cinetica” missilistica dell’AC 130 americano ha fatto 22 vittime e centinaia di feriti. MSF richiede un’indagine estranea ai soggetti coinvolti (US Army e ANF) classificando l’operazione come crimine di guerra. Ma tre giorni fa un tank americano è penetrato nell’area dell’ospedale colpito, dov’erano accumulati macerie e reperti successivi all’attacco, spianando ogni cosa nell’evidente intenzione di disperdere ogni possibile prova utile all’indagine. Con la presenza statunitense ogni tentativo d’inseguire la verità verrà vanificato. Perché questa è l’altra faccia dell’illegalità globale oggi presente in Afghanistan: il governo fantoccio di Ghani e i protettori occidentali uccidono, usurpano, corrompono assieme a warlords e talebani vecchi e nuovi.
Occupazioni definite missioni di pace - L’attuale sopruso attuato contro MSF è in linea con l’illegalità con cui vennero lanciati Enduring Freedom e missione Isaf, giuridicamente fuori da qualsiasi motivazione, compreso l’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, poiché rivolte a una nazione e un popolo estranei ad aggressioni e attentati. Non c’erano afghani nel commando che attaccò le Torri gemelle, né fu mai provata la presenza del saudita Bin Laden a Tora Bora, che comunque venne pesantemente bombardata, a due mesi dall’invasione dell’Afghanistan. Dal 7 ottobre 2001 la guerra privata voluta da G.W. Bush e proseguita da Obama, continua a vedere impegnati i partner europei, sebbene fra i grandi d’Europa la Francia abbia da due anni aggirato il pantano della presenza di proprie truppe e la Gran Bretagna lo mediti. Resiste una parte del partito conservatore, interessata a sostenere gli affari che imprese minerarie britanniche conducono sul posto.
Impegni e spese - L’Italietta è fuori da affari e geostrategie. Come storica “servitù militare” risponde ai comandi politici della Casa Bianca. Abbiamo ricordato l’impegno addestrativo rivolto alle truppe afghane, mentre gli uomini utilizzati da Unit Force 45 potranno essere mobilitati per le azioni più losche e feroci. Restano attivi anche i piloti della Task Force Air dislocati nelle basi emiratine di Al Bateen e Al Minhad. Prosegue anche la presenza di Eupol, missione di polizia per la sicurezza iniziata nel 2007. Scopo: consulenza e formazione per “soluzioni” ai loro problemi. I costi di Isaf hanno superato i cinque miliardi di euro, 750 milioni quelli delle missioni estere del 2013, saliti a 860 milioni per i primi nove mesi di quest’anno. In Afghanistan sono stati impiegati 120 milioni di euro per i militari, 85 per la logistica, 70 per la cooperazione (il cui finanziamento continua a essere agganciato a baschi ed elmetti). L’attuale annuncio renziano ha trovato in corsa 59 milioni di euro fino al 31 dicembre. Per i mesi restanti del 2016 la Finanziaria cercherà risorse.

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