Scelgono
di chiamarsi “Marg”
che in dari significa morte. Sono l’ultimo gruppo paramilitare comparso in
Afghanistan, con tanto di divise create coi colori della bandiera nazionale.
Per “tranquillizzare” i concittadini dichiarano guerra a Talebani e Isis, per
ora della provincia di Balkh dove girano
a gruppi di 15-20 in sella a potenti moto. Chi li finanzia e sponsorizza non è
distante dal governo, visto che uno dei motivi del loro arrivo è la diminuzione
sul territorio di militari Nato e delle agguerrite truppe di contractors di cui
la Casa Bianca s’è servita fino allo scorso dicembre. L’effetto scenico esiste,
occorrerà vedere quanto timore e quanta potenza di fuoco sapranno opporre ai
nemici, fatti salvi i civili che nei conflitti, programmati o casuali,
diventano spesso bersaglio. In un’intervista volutamente lanciata su media
mondiali tal Mohammed Mahdiyar, capo dei Marg di Balkh, sostiene d’essere
stanco di fare da testimone a ripetute uccisioni e attacchi suicidi. Mister
Mahdiyar la violenza vuole restituirla colpo su colpo e sceglie di mettersi in
proprio, come un antico signore della guerra.
I
combattenti della morte sostengono d’essere gente che s’oppone ai fanatici
religiosi e ai teppisti, uccidendoli senza battere ciglio. Affermano d’essersi
formati un anno fa, probabilmente la loro sortita risale all’estate quando i
contendenti alla presidenza Ghani e Abdullah, poi accordatisi, minacciarono lo
scontro armato e organizzarono ciascuno le proprie bande. A esse si sommarono
altre formazioni locali, specie quelle che in alcune zone volevano sopperire al
ritiro di soldati statunitensi da terra. Ad addestrarli direttamente quell’esercito
mai sciolto che è l’Alleanza del Nord, i mujaheddin anti sovietici che furono di
Massoud e Rabbani. Lo stesso Mahdiyar rivendica con orgoglio l’appartenenza a
quella storica militanza, e lancia un monito agli ultimi arrivati del jihad,
ritenendo la propria lunga resistenza
contro ogni invasore la guerra santa più adeguata al tempo e al fine. Eppure
c’è chi si preoccupa che queste ulteriori bande potrebbero minare gli sforzi
governativi per garantire la sicurezza del Paese, perché non godrebbero di
arsenali pesanti per opporsi a talebani e fondamentalisti dello Stato Islamico.
Se davvero
l’Isis sia presente in territorio afghano e ci sia da parte sua una “campagna
acquisti” oppure una simulazione con quella sigla dei gruppi talebani
dissidenti, resta un’ipotesi a metà strada fra la diversificazione e il
camuffamento dello scontro col governo compiacente ai progetti statunitensi. Un
mistero che comunque non avrà vita lunga. Di recente il portavoce del dicastero
dell’Interno di Kabul ha confermato tentativi d’infiltrazione in alcune aree su
cui sta indagando l’Intelligence afghana. Del caso ormai si occupano i media
mondiali. Un comandante talebano con base a Faryab è stato avvicinato da un
inviato di Al Jazeera e gli ha
confessato di avere voci d’iniziative dell’Isis nella provincia di Helmand. A
suo dire sono casi isolati, perché gran parte dei taliban combattono per
l’Islam secondo princìpi autoctoni che si tramandano da generazioni. Invece il
leader di Marg dichiara sicuro che l’inserimento degli uomini in nero è già in
atto nel sud e nel nord del Paese. L’organizzazione del suo gruppo armato, che
finora conta 5.000 uomini ma progetta di raddoppiarli, serve a contrastarne
l’avanzata e l’invasione. Agli uomini della morte le prigioni non servono, il
loro unico scopo è uccidere.
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