Vecchia Cairo, addio. Occorrerà dimenticare Tahrir, Khalili, il vicolo del Mortaio, roba
dall’odore stantio di rivoluzioni passate e di letteratura d’antan. Il sogno
del domani è ampio 700 chilometri quadrati, tutti a est della capitale, un
miracolo fiancheggiato da due enormi autostrade: Suez Road e Ain Sokhna Road. Nella
metropoli futura, ricca di grattacieli, ci sarà spazio per 5-7 milioni di
abitanti, folleggeranno uffici amministrativi, 40.000 stanze di hotel, quindi ministeri,
ambasciate e il palazzo presidenziale, che verrà dunque allontanato dalla non
più sicura zona di Heliopolis. Ancora: verrà creato un enorme hub verso il
Golfo di Suez, un aeroporto più grande di quello di Heathrow e, udite, 2000
scuole e 18 ospedali per un costo presunto di 45 miliardi di dollari. Sono una
bella fetta dei 60 miliardi attuale bottino raccolto dall’Egitto nella conferenza
per l’economia conclusa a Sharm El-Sheikh. Il presidente Sisi sostiene che per
far sognare i concittadini ne servono trecento, intanto incamera un acconto che
riguarda appalti, costruzioni e opere d’ingegneria sostenuti dai fondi delle
petromonarchie (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuweit, Oman). Il suo establishment
è fiducioso che tali investimenti possano diventare immediatamente operativi e
nelle dichiarazioni finali del premier Mahlab c’è l’auspicio che un simile
summit diventi annuale.
Sarebbe un’inattesa
manna nel deserto assetato che è l’odierno Paese. Fra i duemila delegati di
oltre centododici nazioni dell’assise sedevano anche manager di multinazionali
fiduciosi nella prospettiva di poter rilanciare in loco i propri affari, dopo
quattro anni di fermenti politici. Turbolenze che in realtà non sono affatto
terminate anzi, con attentati diffusi e la comparsa d’una rete jihadista armata,
pongono l’ambizioso generale-presidente di fronte a una sfida ardua quanto
quella della contestazione di piazza. Edificatrice della mega urbanizzazione
sarà una società denominata Capital City Partners, di cui è socio Mohamed
El-Abbar della Emirati Construction Company, un tycoon che si è costruito un
impero con la Dubai’s Emaar Properties. Nella pianificazione governativa altre
opportunità d’investimento riguardano l’area industriale del Canale di Suez e
coinvolgono il governatorato locale, quello di Port Said e di Ismailia per
investimenti superiori a 15 miliardi di dollari. Ardimentoso poi il disegno di
sdoppiare l’antico Canale di passaggio delle navi (prevalentemente petroliere
del Golfo) che raddoppierebbe le entrate di pedaggio.
Gli
investimenti per quest’area raggiungerebbero i 220 miliardi di dollari in
quindici anni. Da quel che si vede il finanziamento non è esteso a settori
produttivi come l’agricolo e l’industriale, di cui vive l’egiziano medio. Buona
parte delle direttrici su cui il fiume di petrodollari intende navigare è
quello dell’edificazione e al più dell’energia, dove lo zampino delle sempre
vive ‘Sette sorelle’ non manca: la British Petroleum ha prenotato un investimento
di 12 miliardi di dollari sul gas naturale da estrarre nel Delta del Nilo. Nei
giorni precedenti la conferenza Sisi ha ratificato una legge con cui si aggirava
la vacanza parlamentare (la data delle elezioni previste proprio in queste
settimane è rimandata per ragioni di sicurezza). La norma adottata autorizza
l’apparato governativo ad agire come una sorta d’ufficio da cui gli investitori
possono ricevere le necessarie approvazioni dei progetti, vengono così bypassati
anche i numerosi organismi predisposti a permessi e controlli. La legge, in
vigore dall’aprile prossimo, aumenta la libertà di utilizzo del demanio messo a
disposizione degli investitori per cinque anni.
Nonostante la
mancanza d’un Parlamento (sciolto dai militari dal giugno 2012), nonostante la
pressione e la persecuzione d’ogni opposizione, all’annuncio governativo su un
piano che vale decine di miliardi di dollari si sono sollevate preoccupazioni
su quanto tale progetto sia inclusivo per la cittadinanza e di quanto si
potrebbe estendere alla gente comune. Le linee guida economiche del governo, ribadite
a Sharm, indicano l’appoggio al libero mercato e un’iniziale promessa - e c’è
da sottolineare promessa - ai temi dell’educazione e della salute. Invece
ricercatori locali chiedono in quale modo povertà, disoccupazione, ingiustizia
sociale e redistribuzione della ricchezza si possono inserire nei progetti in
corso. Recenti statistiche indicano che più d’un quarto dei 90 milioni di
egiziani vive sotto la soglia di povertà e che un altro 20% gli si approssima.
Christine Lagarde, per il Fondo monetario internazionale, e Sri Mulyani, per la
Banca Mondiale, presenti al summit hanno invocato il bisogno d’una crescita
sostenibile per la nazione. Pensiero stupendo, che però senza le necessarie
garanzie è come invitare a scegliere la marca dell’acqua minerale in un’oasi
del Sahara. O peggio fuori da essa.
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