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sabato 14 giugno 2014

L’asse Kabul-Washington cerca il nuovo Karzai


Scatta l’ora della verità fra i pretendenti alla presidenza della Repubblica Islamica Afghana, i signori del regime Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani, il primo è favorito e già avanti nel primo turno elettorale. I due si sono divisi la benevolenza della comunità internazionale rendendosi disponibili e interessati al ruolo che fu di Karzai, non certo un campione di autodeterminazione. Assai determinato però nel sostenere gli affari di famiglia e clan secondo il diffusissimo manuale che non ha collocazioni geografiche est-ovest. Vale per tutti i punti cardinali del mondo. L’oliato meccanismo prevede una disponibilità a non ostacolare i grandi manovratori dello scacchiere internazionale, ovvero sottomettersi a uno di loro e gestire coi potentati locali ogni oscillazione fra guerra e pace, fra aiuti “umanitari” e affarismo più o meno lecito. In Afghanistan dopo l’invasione sovietica di fine Settanta, la resistenza, la devastante guerra civile, il periodo talebano è in corso da circa un quindicennio questo modello che anche gli attuali pretendenti all’amministrazione futura manterranno in vita. Perché conviene a tutti: ai poteri forti della geo-strategia che vedono tuttora gli Stati Uniti e i più fedeli alleati Nato dell’Unione Europea perseguire il piano di presenza militare sul territorio. Si consolida una permanenza sino a tutto il 2016 (non più 2014) e s’attende il benestare locale per una proiezione sino al 2022 e oltre. Questo avverrà con la firma del Bilateral Security Agreement che Karzai ha lasciato in eredità al successore.

Con tale patto l’Occidente, soprattutto statunitense, conserverà e amplierà le basi aeree militari dalle quali esercitare controllo, osservazione e attacco nella regione. Il predisposto piano che utilizza l’alta tecnologia spaziale e quella d’applicazione robotica attraverso i droni costituisce la frontiera delle guerre latenti e di quelle palesi che s’intendono lanciare. Il suolo iracheno, nuovamente infiammato da fazioni di parte, s’appresta a ridiventare un laboratorio per nuove strategie d’intervento. L’altro fronte su cui si troverà ad agire il prossimo presidente afghano è quello della gestione di affari e fondi internazionali. In entrambi mettono bocca, il doppio senso è esplicito, gli ex signori della guerra diventati tutti, direttamente o indirettamente, businessmen. Le commesse più golose vengono dallo sfruttamento del sottosuolo soprattutto dei distretti del nord (Faryab, Balkh, Konduz, Badakhshan) dove già operano e apriranno sempre più ampie perforazioni e miniere la China Metallurgical Group, e la China Petroleum Corporation, quest’ultima concessionaria principale del bacino di Amu Darya, vicino alla città di Termiz, sul confine uzbeko.  Quindi lo sfruttamento del suolo per edificazioni dove già pullulano società che afferiscono a warlords e affini (Mohaqqeq uno dei due vice di Abdullah, oppure Mahmoud Karzai, soprannominato caterpillar per i suoi modi a dir poco irruenti, proprietario dell’Afghan Friend&Cooperation Organization) come del resto certe attività di servizio: compagnìe aree di trasporto interno, ovviamente non per gente comune.

L’altra grande entrata nazionale derivante dall’oppio vede sempre i signorotti di varie province accordarsi con gli amministratori locali e nazionali sui piani di coltivazione, e difesa armata dei contadini che coltivano il papavero, e l’ampliamento della raffinazione locale. La favola secondo cui erano i talebani a incentivarne produzione e commercio sono da tempo smentiti da fatti e rapporti. Ufficialissimi, come le relazioni dell’Unodc, struttura delle Nazioni Unite che studia questa piaga. Da tre anni alcuni clan si contendono il vuoto lasciato da Ahmed Wali Karzai, il grande signore della droga che faceva sorridere tante uniformi occidentali. Non semplici marines, bensì gli ufficiali che arrotondavano con un personale commercio (mostrato da un accurato scoop di The Guardian) di pani d’eroina infilati nelle bare che avrebbero dovuto riportare le spoglie dei caduti a casa. In cambio di tali donazioni il più potente dei Karzai jr non voleva ostacoli per il suo affarismo. La mafia della droga s’è data sicuramente nuovi padrini, ma dopo la faida su Wali la tattica usata sembra quella di lasciare nell’ombra i grandi pescecani e usare i pesci piccoli, maschera dei traffici gestiti direttamente dagli uomini che siedono nelle istituzioni. L’arma vincente che dovrebbe portare al potere Abdullah è l’ampia campagna acquisti di warlords. La sua squadra è una vera nazionale del crimine che lo blinda per quella gestione corrotta su cui la comunità internazionale chiude entrambe gli occhi, intenta com’è a divulgare la favola della democratizzazione del Paese. E raccontando che in queste ore nei seggi c’è più personale e gli osservatori possono acutamente osservare in tutta tranquillità.  

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