Chi paga cosa,
è l’insinuante domanda che alcuni attivisti afghani pongono attorno alla
campagna delle presidenziali afghane. La Commissione Elettorale Indipendente
sta compiendo controlli su inosservanze di quel regolamento che ciascun
candidato deve accettare. Sono sotto la lente peccatucci veniali ma, ad
esempio, non c’è stata verifica sui finanziamenti. Questi non possono ammontare
a più di 10 milioni di afghani (174.000 dollari) nei due mesi di propaganda.
Qualche sospetto, per ora non provato, fa dire agli oppositori democratici che più
d’un candidato può spendere quella cifra in una sola settimana. Fra i dati diffusi
dalla nota tivù locale Tolo tv Qayum Karzai, fratello ora ritirato del presidente
uscente, aveva ricevuto oltre un milione di afghani spendendone 6.300.000. Eppure
un po’ tutti i nomi noti sono sostenuti da elargitori rimasti occulti: Abdullah
(4 milioni e mezzo), Ghani (2.300.000), Rassoul (3.100.000), Sayyaf (4.200.000)
e c’è chi come Sherzai non ha dichiarato sostegni economici ma ha impegnato
4.225.000 afghani. Visto quel che l’intransigente signore della guerra fece nel
2012, procurando fondi per la campagna elettorale di Obama, un cattivo pensiero
porterebbe a insinuare che il presidente Usa gli stia ricambiando il favore…
L’auspicio della gente comune è che il Paese volti pagina attorno ai sentiti temi
di pace e sicurezza, rilancio economico e lotta alla corruzione, questioni
legate fra loro che rientrano nel programma di ogni candidato. Tutti, a parole,
si mostrano d’accordo, anzi si fanno promotori d’una reale mutazione di passo,
come del resto accade in ogni campagna elettorale sparsa per il mondo.
Ovviamente la specificità afghana è data dai giochi futuri prospettati da
“amici” vicini e lontani. Quali i pakistani fomentatori di jihad, acquiscenti come
sono verso i talebani interni, e le grandi potenze che direttamente o
attraverso multiaziende si propongono di rilanciare l’economia traendone
benefici diretti in una ridda di accordi-contrasti che ingombrano la libera
scelta nazionale interna. Dopo due invasioni, quella in corso che si
prolungherà dopo la firma dell’Accordo Bilaterale sulla Sicurezza sino al 2024,
il tema dell’autodeterminazione è generalmente sentito anche fra i concorrenti
alla poltrona Karzai che non potranno evitare rapporti diplomatici col mondo. Finora,
ma siamo in campagna elettorale, tutti hanno battuto sul tasto dell’orgoglio
nazionale che deve travalicare le divisioni etniche e tribali. Fra intese, pur
verbali e non scritte, Rassoul è il politico che più d’altri sembra beneficiare
del richiamo alle radici.
Soprattutto perché sta raccogliendo adesioni
trasversali. Per appoggiare la sua
candidatura Karzai ha fatto ritirare il fratello Qayum, privo di qualsiasi
carisma e posto comunque a tutela degli affari di famiglia. Di recente Rassoul ha
ricevuto l’abbraccio formale che diventerà sostanziale d’un signore che conta
come Mazari, che ha fatto dire al suo portavoce come nel dottore si ritrovano temperanza, equilibrio e produttività che
servono al Paese per combattere, è facile indovinare cosa: la corruzione. Egualmente
in questo candidato, che per agguantare voti dismette giacca e cravatta e si
presenta in vari distretti col simbolo tribale del turbante (lo fa anche l’uomo
della Banca Mondiale Ghani), s’individua la possibilità di superare paura ed
estremismo. Tali richiami partono da soggetti fortemente implicati in un
passato che ha intossicato l’esistenza di milioni di afghani proprio usando
violenza estrema, seminando terrore e morte fra i civili. Anche
Jamiat-e-Islami, orfana della leadership di Fahim stroncato da un infarto e che
Karzai ha l’obbligo costituzionale di rimpiazzare al più presto alla
vicepresidenza rimasta vacante, pare orientata a sostenere Rassoul. E forse
altre branche del tradizionalismo profondo uniranno il loro assenso, pur non
preoccupando le banche (occidentali e asiatiche) coinvolte nel finanziare le
multinazionali. In politica, si sa, gli accordi si pagano e bisognerà vedere
quali interessi il dottor Rassoul sarà disposto ad accogliere e sostenere.
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