ISTANBUL – Nella
triade dell’urna che misurerà il peso del sultano le amministrative di questo
fine di questa settimana sono un primo round nient’affatto secondario. Lo si
vede da come il premier affronta da giorni le tappe pubbliche che preparano la
scadenza. Nell’ultima di domenica a Kocaeli ha incendiato i cuori anche degli
avversari nazionalisti più restii a concedergli chance, cogliendo al volo l’episodio
dell’abbattimento del Mig siriano da parte dei propri F16, congratulandosi in
diretta nientemeno che coi generali. Poi di corsa verso il bagno di folla nella
sua croce e delizia: l’Istanbul dal volto adorante che prendeva il posto di
quello riottoso, che Erdoğan ben conosce e forse teme per i giorni che verranno.
Un futuro già alle porte, per il quale s’è messo a lavorare sodo: comizi su
comizi in cui alterna il discorrere paternalistico, un po’ confidente, un po’
autoritario, che serve a riportare sotto l’ala protettiva del partito-regime
quel pezzo d’elettorato che può voltargli le spalle. Stufo com’è di scandali e
strette repressive che attaccano addirittura i cinguettii di Twitter.
Se dovesse perdere dai
due ai cinque punti di percentuale rispetto all’en plein del quasi 50% delle
politiche 2011 avrebbe comunque parato il colpo, che invece secondo altri
potrebbe ridimensionare la forza dell’AKP anche di 8-10 lunghezze. Allora sì
s’aprirebbe una crisi politica personale per il leader che già si vede
incoronato presidente dal popolo che non deve tradirlo. E il secondo round
elettorale d’agosto produrrebbe affanni. E’ vero che il quadro nazionale non
offre figure carismatiche tali da ostacolare la smania di potere del sultano,
ma il suo piano di fare della Turchia una repubblica presidenziale dal volto autoritario
anziché autorevole ha bisogno di numeri che se sono in caduta non aiutano a
raggiungere lo scopo. Per tacere degli intoppi personali del leader, possibili
macchie su un orizzonte non solo suo ma nazionale. E questo la Turchia non può
permetterselo. Lo sanno tutti. Dagli avversari di sempre del CHP, ai nostalgici
e intransigenti del MHP, entrambi immersi in una campagna meticolosa per queste
amministrative dall’alta valenza politica.
Lo sa la coesa e
orgogliosa comunità kurda che con la nuova formazione confezionata nello scorso
ottobre (HDP) e il consolidato BDP si presenta rispettivamente nei collegi
occidentali e nelle province orientali dove registra un’eccellente risposta
dalle urne. In alcuni collegi le punte raggiungono quasi l’unanimità (Xuksekova:
98%, Nuseibyn: 92%). E’ da simili roccaforti che il sogno kurdo di resistere
per rilanciare l’idea del Kurdistan flessibile, un’entità socio-politica che
estende la proposta del Confederalismo a quattro nazioni (Turchia, Siria, Iraq,
Iran), pone le basi per i percorsi di domani. Certo quest’utopia politica deve
fare i conti con le chiusure di Barzani e la repressione degli ayatollah nelle
ultime due nazioni, più la guerra civile siriana che dalla scorsa estate erode la
locale Rojava. Ma l’azzardo è sentito e condiviso dalla gran massa del popolo
kurdo come fosse una ragione di vita e viene diffuso come l’unica via praticabile.
Öcalan nell’isolamento di İmralı sorride.
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