La Corte di giustizia egiziana ha introdotto una
proroga tattica facendo scivolare all’8 gennaio il processo all’ex presidente
Mursi apertosi oggi in una Cairo blindata. Il motivo sarebbero le prime
agitazioni di suoi fan, annunciate, e comunque tenute sotto controllo
dall’ingente spiegamento poliziesco. Gli addebiti al deposto Capo di Stato restano:
responsabilità morale e politica per la morte di alcuni manifestanti e
incitamento all’uso della violenza durante gli scontri di Ittihadiya. Mursi ha ricusato i giudici non riconoscendogli
alcun potere per un’azione considerata illegittima che insulta la carica di
presidente strappatagli, a suo dire, con la forza. Gli avvocati difensori hanno
sottolineato, a chi si lanciava in paralleli col famoso processo contro Mubarak,
che differentemente dal raìs il loro assistito non s’è mai dimesso. E’ un capo
di Stato democraticamente eletto ed è sostenuto da un’ampia parte della
nazione. Secondo la cronaca diffusa tramite foto e resoconti scritti (le tivù
non erano ammesse in aula) Mursi è parso determinato, ha ribadito d’essere
stato condotto mesi fa in carcere e ora davanti ai magistrati, e s’è rifiutato
di vestire la divisa bianca dei detenuti.
Trascorrerà le prossime settimane in un penitenziario
periferico, Borg Al-Arab, nei pressi di Alessandria mentre i compagni di
partito, egualmente accusati di violenza contro gli avversari politici, saranno
spediti nella nota prigione di Tora. Fra costoro alcuni (El Beltagy, El Erian,
Abdel Ati, Alaa Hamza) sono conosciuti esponenti della Fratellanza Musulmana,
altri sono leader salafiti (El Mogheer) o religiosi di chiara fama (Wagdi
Ghoneim). Per tutti c’è stata una limitazione nella presenza dei difensori, lo
staff legale del presidente ha lamentato l’impossibilità di essere convocato al
completo, solo quattro avvocati sono stati accreditati mentre per Mubarak era
stata usata la manica larga. Ma la diversità di trattamento è già balzata agli
occhi dei difensori di Mursi: solo su di lui pende la responsabilità delle
vittime degli scontri del dicembre 2012. Nessuna accusa né chiamata di correo è
stata fatta per il ministro degli Interni dell’epoca differentemente a quanto
accadde a Mubarak, i cui sviluppi del processo si riversarono colpe della pesante
repressione anche su Al Hadly, ‘suo’ ministro degli Interni. Massacri con un
migliaio di vittime, simili a quelli del 13 agosto ordinati da un altro Al, il
generale Sisi. Eroe per tanti che invece gli islamici vorrebbero a sua volta alla
sbarra.
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