Nei cento rivoli in cui si divide l’interpretazione degli ultimi 55
giorni dell’intreccio politico egiziano: seconda rivoluzione, golpe bianco, non
golpe, sanguinaria restaurazione, salvezza della Patria e altro ancora la
notizia della scarcerazione di Hosni Mubarak ha fatto meno clamore di quello
che ci s’attendeva. Quasi fosse un passo scontato visto l’orizzonte degli
eventi. La questione è ampiamente simbolica, come e più di tanti momenti
susseguitisi nei due anni e mezzo di Primavera cercata e sperata, tradita e
perduta. E il sorriso appena accennato ma non per questo meno beffardo, più da
Monna Lisa che da Sfinge, con cui il vecchio raìs ha assistito alle ultime
carte giocate dai suoi legali profumatamente pagati riassumono un copione mai
scarno di colpi di scena. Quattordici mesi or sono Mubarak doveva finire sulla
forca, secondo il dispositivo d’una sentenza che duettava col bilioso volere
della piazza che durante il duplice processo (strage e corruzione) circondò per
settimane l’area del Tribunale allestita in una delle tante caserme cairote. Il
vecchio Hosni venne addirittura dato per morto, non moribondo come dichiaravano
avvocati e familiari, ma colpito da collasso. I detrattori sostenevano si
trattasse d’una sceneggiata volta a commuovere la Corte che sull’onda rivoluzionaria
non si fece impietosire, pur mutando la pena in ergastolo.
La “malattia” condusse il condannato dalla cella all’infermeria
dove, con l’ampia schiera dei fedelissimi, ha atteso il crescente vento
antislamico che introduceva un cambio di prigionia: fuori il vecchio tiranno
dentro il nuovo, cioè Mursi presidente per dodici mesi odiatissimo dagli
avversari laici. Se dietro ai simboli c’è sostanza, e qui ce n’è a iosa, la
mossa sostenuta dai due poteri forti (Forze Armate e Magistratura) che formano
il nuovo blocco egemonico assieme alla tumultuosa piazza anti Fratellanza ha
voluto collegare la trascorsa e attuale dirigenza militare filo-yankee, checché
ne dica chi ritiene Al-Sisi ammiratore di nuovi Imperi. Certo il generalissimo
- lui vero presidente in pectore d’un Egitto normalizzato non ‘giocatori di
sponda’ alla Sabbahi - potrà cercare anche alleanze con Mosca, Pechino, Delhi o
chissà dove, però la restaurazione che si delinea segue percorsi regionali: i
buoni rapporti con le petromonarchie, saudita in testa, e con Israele che
stravede per il militare pronto a chiudere varchi ufficiali (Rafah) e ufficiosi
(tunnel) verso la Striscia governata dai Fratelli di Hamas e silurare ogni
sorta di jihadismo.
Smarrita è la Tahrir della prim’ora, quella del “6 Aprile”, dei
socialisti rivoluzionari, dei cani sciolti della sinistra laica e sindacale che
nella foia dell’opposizione alla Costituzione “islamica”, nel conflitto latente
e poi aperto dei mesi scorsi s’è unita al Fronte di Salvezza Nazionale
diventato la maschera per i reiterati massacri militari. La riabilitazione di
Mubarak non va giù a questo fronte già minoritario e oggi surclassato dai
Tamarod, spiazzati un po’ anche loro dalle conseguenze della sentenza che porta
il simbolo di trent’anni d’affossamento della nazione al calduccio prima d’una
nuova infermeria poi nella sontuosa villa di Sharm El Sheik. Quest’immagine
ridà fiato a chi non vuole che l’Egitto cambi una virgola riguardo allo strapotere
economico della lobby militare, alla politica come affare clanista impregnato
di corruzione, a una reale redistribuzione della ricchezza. E quel che viene
propagandato come orgoglio,
autodeterminazione e allontanamento dai finanziamenti-capestro statunitensi
e occidentali ha il sapore d’una possibile bugia. Basta attendere per vedere
sviluppi comunque votati a schiacciare l’organizzazione della Confraternita che
mostra alcune novità. Preoccupanti.
Arrestato e umiliato Badie,
bloccati nonostante i travestimenti d’ogni genere anche il portavoce del
partito della Libertà e Giustizia Mourad Ali e il tonitruante predicatore
Safwat Hegazy, per il momento diventa Guida Suprema della Fratellanza un duro e
puro: Mahmod Ezzat. Sessantanove anni, medico, fu braccio destro di Sayyid Qutb
(il teorico dello scontro armato fatto impiccare nel 1966 da Nasser, al cui
pensiero si richiamano anche taluni qaedisti). Ezzat ha alle spalle dieci anni
di galera, dall’epoca Nasser che lo rinchiuse nel 1965 sino a Sadat, uscito
terminò gli studi in medicina in Gran Bretagna, salendo la scala gerarchica
dell’organizzazione anche grazie alla sua professione. Tornò in galera per la
stretta repressiva di Mubarak dal 1995 al 2000. Tattico e astuto è conosciuto
con l’appellativo di “volpe” sebbene siano note le su posizioni oltranziste che
lo contrapponevano al moderato Badie. Dalla destituzione di Mursi sono sue le
proposte di sit-in ad libitum contro cui i militari hanno deciso di scatenare la
furia omicida. Adesso alle sue idee, finora marginali dentro la Confraternita,
stanno guardando molti militanti. Da oggi alle prossime settimane vedremo se i
“venerdì della rabbia” del “fratello di ferro” sceglieranno vie davvero non
pacifiche e di rottura.
Come! Gli altri dittatori sono stati tutti massacrati e questo lo scarcerano? Sicuramente amico di papi.
RispondiEliminaPovero splendido Egitto, le forze oscure dei poteri regionali e extraregionali non lo lasceranno mai libero, il disegno di "un nuovo medio Oriente" a suo tempo voluto da Bush continua...