A
metà fra denuncia e grido di dolore
alcuni intellettuali egiziani evidenziano l’esplicito pericolo che il Paese
corre dopo la destituzione del presidente Mursi per iniziative orchestrate da
forze reazionarie. Un complotto? probabilmente sì sebbene manchino le prove
tangibili. Di certo l’offensiva che trova ampia sponda nelle Forze Armate e nel
movimento d’opinione laico gestito da Tamarod e Fronte di Salvezza Nazionale è
stata ben condotta dalle componenti del mai tramontato Egitto dei raìs che
tante porte aveva aperto al colonialismo di ritorno nei suoi risvolti più
beceri e servili. Lo sostiene l’intellettuale Mohamed El-Menshawy, conoscitore degli
inquietanti risvolti dell’occidentalismo più retrivo avendo studiato e lavorato
negli Stati Uniti. Sicuramente i filo yankee l’accuseranno di antiamericanismo
ma El-Menshawy non si esenta dalla cruda analisi sulla triade criminale
(neofascismo, islamofobìa, classismo) che avvelena la vita del Paese.
Fascismo rampante - “C’è un
fascismo rampante (l’autore utilizza questo preciso riferimento ideologico,
ndr) che inficia il processo democratico
presente nella ribellione di piazza e nel voto liberato dalla pressione delle
lobbies. I due momenti sono stati i pilastri partecipativi della Rivoluzione
del 25 gennaio contro la gestione personalistica e tirannica del potere”.
Questo fascismo, come altri, non ama il popolo, lo usa però non cerca una sua
emancipazione, al più lo lusinga con uscite populistiche che comunque discriminano
le classi più povere. El-Menshawy prosegue sottolineando l’esistenza d’un
razzismo neppure tanto velato nei pronunciamenti con cui un certa leadership
sostiene come le libere elezioni del 2011 e 2012 siano stati inaffidabili
pronunciamenti d’una massa incolta e analfabeta. Dietro quest’attacco al
principio base della democrazia si cela l’idea esclusivista che soltanto
un’élite, la propria, può essere capace di decidere le sorti dell’Egitto e
dirigerlo. “Costoro non vogliono
occuparsi dei diritti individuali, di eguaglianza sociale, sono abituati alla
compera del voto e ai brogli, ampliano la corruzione negli apparati statali
praticando con simili manipolazioni gli interessi del ceto benestante cui
appartengono”.
Islamofobìa - A detta di El-Menshawy il neofascismo si sarebbe
avvantaggiato delle sentenze assolutorie dei giudici verso i responsabili (non
solo militari) di crimini e malversazioni degli anni passati usando a proprio
favore il montante clima di contestazione alla presidenza Mursi. Tamarod e
liberali hanno prestato il fianco all’iniziativa abbagliati dal forte sentimento
antislamico. L’islamofobìa è il secondo elemento esaminato, un insieme di paura
e odio in aperto controsenso in un Paese al 90% musulmano. Il discorso si
sposta sull’imprinting dei recenti toni da crociata non diversi da quelli
vissuti negli Usa dopo l’11 settembre. La propaganda sembra orchestrata da
retrivi occidentalisti più che da posati liberali visto che mira alla
demonizzazione degli islamici definiti pericolosi per la vita dell’Egitto. Gli
islamici tout-court non combattenti jihadisti, e dunque anche le famiglie
presenti da cinque settimane ai sit-in di protesta a Nasr City. L’offensiva
ideologica invade il terreno dei costumi identitari e dei simboli quando s’additano
barbe e nijab chiedendone la sparizione.
Classismo sprezzante - Ma ciò che preoccupa ulteriormente El-Menshawy è la
terza lancia della triade reazionaria: il classismo con cui l’élite che si
propone come attuale classe dirigente e forma i suoi rampolli nelle scuole
private statunitense, britannica, francese teorizza la propria superiorità sul
restante establishment. Teorizza Egitti separati e organizzazioni sociali
differenziate nei servizi (trasporti, sanità, scuola) e nella vita. “Non era mai accaduto neppure nei non
brillanti decenni che furono. Non era questo che chiedeva la Rivoluzione del 25
gennaio che al contrario voleva cambiare le dinamiche fra governanti e
governati”. Ma la classe dei feloul legata
al regime di Mubarak resta immune ai venti della trasformazione. I fatti del 30
giugno mostrano che essa rimane, mentre il grande assente pare essere proprio
il cambiamento.
Nessun commento:
Posta un commento