domenica 28 luglio 2019

Kabul, ex ministro di Ghani sopravvive a un attentato


Nel fuoco senza tregua che, nonostante i colloqui di pace, investe Kabul è di queste ore la notizia dell’ex ministro dell’interno Amrullah Saleh rimasto lievemente ferito a un braccio durante un ennesimo attentato. Ha voluto testimoniarlo lui in persona lanciando una foto su Twitter che lo ritrae seduto all’esterno circondato da guardie del corpo. L’esplosione di un’autobomba nei pressi della sede del neonato movimento ‘Green Trend’ ha inizialmente prodotto due decessi, ferendo venticinque persone, ma ora dopo ora i morti sono saliti a venti e sono aumentati anche i feriti. L’obiettivo dell’agguato era certamente Saleh che con questa sigla ha da poco scelto di affiancare il presidente uscente Ashraf Ghani nelle pluri rimandate elezioni, ora fissate per il 28 settembre. Saleh s’era appena dimesso dalla precedente carica e partecipava in qualità di candidato alla vicepresidenza alla campagna che ripartiva oggi, a due mesi dalla scadenza che comunque può slittare ulteriormente. La scelta dell’ex ministro potrebbe essere stata indotta da Ghani stesso per gli stretti legami che Saleh ha con la componente tajika della società afghana. Il presidente uscente sa che quest’etnìa, la seconda componente più numerosa (25%) dopo i pashtun,  non deve essere trascurata nel trend elettorale. Inoltre, se le presidenziali raggiungeranno il traguardo finora avversato a suon di bombe da talebani e da jihadisti del Khorasan, proprio l’elettorato tajiko può costituire un appoggio al piano elettorale.

Nella precaria mappa dell’amministrazione afghana il passato parla chiaro: indimenticati leader tajiki come Rabbani e Massud hanno sempre avversato il fondamentalismo islamista sin dall’epoca del mullah Omar e del connubio con Bin Laden, rapporto sostenuto da Pakistan e Arabia Saudita. Questo filo rosso è proseguito nei decenni e il Saleh in questione, che per ragioni d’età non è stato un signore della guerra e non è un personaggio di spicco del panorama interno, risulta però un integerrimo oppositore dei taliban. Anche per questo chi sta cercando di farlo fuori lo detesta, come detesta l’insistenza di Ghani nel voler rioccupare una presidenza sebbene risulti svuotata di potere. Gli stessi statunitensi, iniziali sponsorizzatori dell’uomo della Banca Mondiale, l’hanno abbandonato a se stesso, avallando negli ultimi mesi il totale diniego posto dai turbanti per una sua presenza al tavolo delle trattative. Il rifiuto della rappresentanza governativa è avallata dai continui rinvii del voto presidenziale che si è prolungato di un anno e che, se si giungesse a un accordo finora mancato fra statunitensi e talebani, vedrebbe quest’ultimi pronti a occupare posti di potere mentre il clan di Ghani dovrebbe fare i bagagli. Sostituito da chi è il gran busillis, ma questa è il diktat dei barbuti presenti a Doha e Mosca. Anche il presidente uscente parla di pacificazione, ma da questo scenario ha tutto da perdere e resta attaccato al piano elettorale che finora la Casa Bianca non ha cancellato, però fa ben poco per sostenerlo. Così in attesa del voto che verrà, chi sopravvive fra candidati ed elettori forse vedrà quel giorno che si prospetta inutile. Mentre la quotidianità afghana incrocia sangue e conta morti.

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