Quella di Safa Ahmad è una storia di povertà e
morte. Come altre mille e mille in Afghanistan, Paese che vede la terza
generazione soffocata dai conflitti. Ma accanto alla scia di sangue Safa lascia
un presidio di sogno e riscatto, spezzati purtroppo da ex miliziani trasformati
in vagabondi, volto oscuro d’una nazione dove la quotidianità è soffocata dalla
violenza degli occupanti occidentali e dei sempiterni Signori della guerra.
Polvere e soprusi vagano nell’aria della capitale e dei villaggi dove bambini,
donne, anziani pagano le conseguenze più dolorose. Safa è stato ucciso per una
lite di strada, che pur nei suoi giovani diciassette anni cercava d’evitare,
perché chi in quei luoghi nasce povero (la quasi totalità dei 32 milioni di
abitanti) ha ben altri problemi da risolvere che sprecare inutili energie in
sciocchi contenziosi. Non quando s’incrociano criminali matricolati come Raqib,
l’assassino, non privo di passato politico. Lui era stato uno dei comandanti
della Shura-e Nezar, organismo paramilitare guidato da Shah Massud, Signore
della guerra considerato eroe nazionale. Da questo passato Raqib ereditava il
sopruso con cui s’era impossessato dei terreni di taluni paesani che, a causa
di bombardamenti (negli ultimi tredici anni della Nato), s’erano stabiliti nei
dintorni di Kabul. Aveva proseguito con le proprie infamie, aumentandole in
occasione del reclutamento di suoi due fratelli nella polizia di frontiera grazie
al programma governativo di “disarmo, smobilitazione, rintegrazione”.
Safa, originario d’un villaggio della provincia
di Parwan, ha finito i suoi giorni crivellato dai proiettili del kalashnikov
imbracciato da questo soggetto e fornitogli da uomini politici. Il ragazzo era
stato fermato mentre insieme al padre accompagnava la mamma all’ospedale,
percorrendo la strada che unisce alcuni villaggi a quella principale del
distretto. Una via costruita col Programma di solidarietà nazionale. Lì, come faceva
da tempo con tutti gli abitanti, il teppista voleva impedire il percorso. Alle
rimostranze dell’anziano, che sosteneva la necessità e l’urgenza del tragitto,
Raqib sparava. Lo feriva gravemente procurandogli il decesso dopo una ventina
di giorni. L’assassino fuggiva e tuttora trova rifugio dai Warlods di Parwan,
zona dove alla vigilia del risultato elettorale il team di Abdullah ha fatto
distribuire dalle 30 alle 50.000 armi a malviventi e balordi. Lo scandalo è
venuto a galla e lo stesso governatore della provincia non ha potuto negare
l’avvenuta militarizzazione privata della zona, senza che magistrati, polizia
ed esercito prendessero provvedimenti. Di Safa gli amici raccontano che veniva
da una famiglia di agricoltori della Shamili vally, intenta a coltivare un paio
d’ettari di terra. Era ancora bimbo quando ha aperto gli occhi sulla brutalità
che la gente del villaggio subiva a opera dei Taliban. Il bambino, assieme a un
fratello maggiore, contribuiva al sostentamento familiare vendendo il bolani, tradizionale pane afghano
ricoperto di verdure.
Caduto il regime dei turbanti gli Ahmad tornarono
nel villaggio, sperando di riprendere un’esistenza minima ma dignitosa.
Trovarono rovine, campi dissestati e molte difficoltà nel riavviare la coltivazione
agricola. Fu quello il periodo in cui l’adolescente Safa incrociò l’attività
del Solidarity Party e iniziò a leggere opuscoli dell’organizzazione
democratica. Nonostante le difficoltà economiche si riavvicinò agli studi, mentre
un’innata sensibilità e il passato di sofferenze lo aprirono ai problemi
sociali facendogli acquistare coscienza politica. Quest’ultima si consolidava
con incontri, dibattiti e gesti di sostegno che gli attivisti rivolgevano a
uomini e donne di città e campagna. Chi l’ha conosciuto lo ricorda come un ragazzo
intelligente e ingegnoso. Tempo addietro aveva proposto una rappresentativa
provinciale del partito volta a preparare temi e letture che venivano
affrontati in villaggi, scuole, moschee per sensibilizzare la popolazione. In
una delle stanze di casa aveva creato una piccola biblioteca e offriva ad altri
coetanei l’opportunità d’incrociare alfabetizzazione e idee. Per l’impegno che
metteva anche nei momenti pubblici delle manifestazioni svolte alla luce del
sole che, nel violento panorama afghano, espongono i militanti democratici alle
ritorsioni fondamentaliste, Safa s’era guadagnato un ruolo di spicco fra i
coetanei. I suoi compagni e i vertici di Hambastagi ne ricordano altruismo e coraggio,
ma soprattutto la voglia di costruire un Afghanistan totalmente diverso da
quello che l’ha assassinato.