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lunedì 18 giugno 2018

Elezioni turche: Istanbul per il sultano


Tutti pazzi per Erdoğan. Ennesimo bagno di folla oceanico, esso stesso coreografico per il messaggio di potenza che il presidente uscente, e prossimamente regnante, vuole offrire a sostenitori e oppositori. I candidati di quest’ultimi (il repubblicano İnce, 54 anni, il kurdo incarcerato Demirtaş, 45, la ‘lupa grigia’ che ha rinnegato Behçeli Akşener, 61) pensano di sottrargli talmente tanti voti da non consentirgli d’essere eletto al primo turno e di aver bisogno del ballottaggio. Ma il navigato uomo forte, ormai apertamente definito sultano dalla folla plaudente, con un’enorme partecipazione femminile, già da settimane è corso ai ripari andando a cercare il voto dei turchi d’Europa. E poiché Merkel, Kurz e Rutte, i premier dei Paesi dove i turchi sono tre milioni gli hanno vietato comizi di piazza, il presidente che vuole oscurare Atatürk, li ha incontrati in un luogo che rievoca pienamente l’epoca ottomana, seppure con lo spettro della pistola fumante di Princip, prodromo del suo declino.

Il mese scorso Sarajevo ha raccolto un mega raduno di sostenitori di Erdoğan provenienti da Germania, Austria e Olanda, anch’essi completamente invaghiti del suo pugno di ferro. E ieri nella Istanbul che lo lanciò in politica prima come sindaco quindi come premier, e che lui ripaga con una trasformazione urbana in chiave tecnologica e d’impronta islamista, erano decine di migliaia le mani rivolte al cielo nel segno delle quattro dita, il simbolo dell’Islam politico che dal Maghreb al Mashreq affratella e seduce. Ma più che al 24 giugno o alla tornata seguente lo sguardo dei politologi è diretto alla fase successiva che governo e presidente, chiunque dovessero essere, dovranno affrontare in virtù della grande incognita che pesa sulla sfida: i problemi economici della nazione. La Turchia già da mesi ha dovuto fare i conti con la caduta del 20% del valore della sua moneta sul dollaro. Sulle incertezze economiche si sta giocando un pezzo della campagna elettorale coi partiti dell’opposizione critici su questo tema, oltre ai richiami rivolti alle questioni repressive, di mancanza di libertà di stampa e finanche d’espressione.

A difesa l’establishment utilizza lo stesso tema dell’incertezza e lo rovescia a suo favore, richiamando una politica di stabilità contro l’avventura di cambiamenti che introdurrebbe caos, e dunque, minori investimenti. Sempre utilizzato lo spettro del complotto guidato dai gülenisti, con l’ausilio di non meglio identificati ‘poteri stranieri’ che tramano contro la nazione. Il partito di maggioranza Akp ed Erdoğan nei comizi vantano tutta la strada percorsa dal 2002 per risollevare un’economia in crisi e combattere la disoccupazione attraverso investimenti interni ed esteri che hanno prodotto lavoro. Ribadiscono che, nonostante gli scossoni politici e geopolitici, l’economia turca ha mantenuto uno standard costante. Lo scorso anno la crescita, stabilita al 7.4%, è risultata seconda solo a quella irlandese fra i 37 Paesi membri per l’Organizzazione per lo sviluppo economico. A loro dire i dati del prodotto interno lordo vedono una diminuzione tutto sommato contenuta fra gli 863 miliardi di dollari del 2017 e gli attuali 851 miliardi.

Da parte sua il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita dell’economia turca del 4.3% nell’anno in corso, proiezioni ribadite anche nel 2019. Per contro i critici sottolineano che tali cifre si tengono a galla grazie a sgravi fiscali e all’introduzione d’incentivi, principalmente nel solito settore delle costruzioni, attivo ininterrottamente da circa un quindicennio. Tutto ciò introduce una politica dei prestiti che sviluppa inflazione (attualmente salita all’11.9%, quota più alta da 14 anni a questa parte). E c’è chi sottolinea come gli stessi prestiti dall’estero stiano diminuendo, nel 2017 si registrano 10.8 miliardi, la quota più bassa degli ultimi otto anni. Sebbene nel confronto fra le parti non manchino riferimenti a temi politici come repressione, arresti, epurazioni e stretta securitaria molto ruota intorno alle menzionate questioni economiche che potrebbero rappresentare la trappola futura per il regime. Ma ieri, nella parata che s’approssima al gran finale, la marea erdoğaniana pareva non curarsene e il sultano se ne beava, convinto di ulteriori investiture di lunga data.   

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